Polifemo 

di Ignazio Caloggero

Pagina di riferimento: Repertorio dei Culti e dei Miti

Polifemo è un ciclope, figlio di Poseidone e della ninfa Toosa. La mitologia classica chiama Ciclopi sia i figli di Urano e di Gaia, sia gli appartenenti ad un’antichissima popolazione. Il popolo dei Ciclopi è ricordato dallo storico Tucidide[1] e, secondo Omero, era un popolo di Giganti antropofagi, forti e dediti alla pastorizia caratterizzati, oltre che dall’alta statura, dal fatto di possedere un unico occhio in mezzo alla fronte.

Piazza Armerina: Villa Romana del Casale – Vestibolo di Polifemo 

C’è chi afferma che i ciclopi avevano un unico occhio per l’abitudine di cacciare tenendo un occhio chiuso perché in questo modo erano agevolati durante il lancio delle lance. La loro sede era presso le regioni dell’Etna e al più famoso di essi, Polifemo, è legata la leggenda omerica di Ulisse.

Odisseo e i suoi uomini accecano il ciclope Polifemo, particolare da un’anfora protoattica, circa 650 a.C., Eleusi

Polifemo faceva il pastore e viveva con il suo gregge in una caverna. Ulisse, sbarcato in Sicilia insieme ai suoi dodici compagni, gli chiese ospitalità. Invece di ospitarli, Polifemo li catturò con l’intenzione di divorarli, cosa che iniziò subito a fare con alcuni di loro. Promise però ad Ulisse che lui sarebbe stato l’ultimo ad essere divorato per ringraziarlo del vino che gli aveva donato e gli chiese, inoltre, quale fosse il suo nome. Ulisse, furbamente rispose di chiamarsi Nessuno. Di notte, mentre Polifemo era addormentato sotto l’effetto del vino, Ulisse e i suoi uomini aguzzarono un grosso palo e lo conficcarono dentro l’unico occhio del ciclope accecandolo. Polifemo gridò aiuto chiamando gli altri Ciclopi, ma quando questi gli chiesero cosa stesse succedendo egli rispose che Nessuno aveva cercato di ucciderlo con l’inganno, per cui gli altri Ciclopi, credendolo pazzo, se ne andarono. Ulisse, per cercare di uscire dalla caverna senza che Polifemo se ne accorgesse, si legò sotto il ventre di un grosso montone e invitò i suoi compagni a fare altrettanto, così, quando la mattina seguente Polifemo fece uscire il gregge, pur controllando i montoni, non si accorse che Ulisse e i suoi stavano fuggendo sani e salvi dalla caverna. Una volta credutosi al sicuro sulla sua nave, Ulisse gridò il suo vero nome al Ciclope, ma la cosa per poco non costò la vita a lui e ai suoi compagni, poiché Polifemo, un pochettino arrabbiato, prese una rupe e la lanciò, riuscendo quasi a colpire la nave di Ulisse.


Polifemo scaglia un masso contro Aci, particolare dell’affresco “storia di Aci, Galatea e Polifemo” di Annibale Carracci (1597 -1600)

 Secondo la tradizione le isole dei ciclopi, conosciute come i faraglioni dei ciclopi che si trovano davanti ad Acitrezza sono proprio i sassi lanciati da Polifemo verso la nave di Ulisse 

La tradizione popolare siciliana ha voluto mantenere in qualche modo il ricordo dei Giganti che in alcuni racconti popolari vengono visti come uomini grandissimi, mangiatori di uomini, ma, come il loro precedessore Polifemo, dotati di una “minchionaggine” grande non meno della loro statura.

Pitrè ricorda un racconto di Serafino Amabile Guastella relativo al gigante di Cabballastru: “mangiatore d’animali e di uomini, domatore di lupi; e rimane annientato da un vecchio, e gettato in un fiume che sprofonda in un pozzo, nella contrada delle Cientu Mangiaturi in Chiaramonte”[2]

A Polifemo è legata la leggenda della ninfa Galatea di cui egli si era innamorato non corrisposto poiché la ninfa amava il giovane Aci che fu per questo ucciso da Polifemo.

[1] Tucidide  VI.2.

[2] Giuseppe Pitrè: Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano. p. 205

Estratto dal Libro Miti dell’Antica Sicilia”   di Ignazio Caloggero ISBN:9788832060157 © 2022 Centro Studi Helios srl

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