Artemide (Diana)

di Ignazio Caloggero

Pagina di riferimento: Repertorio dei Culti e dei Miti

Origini del Mito

Secondo la mitologia greca, Artemide, identificata con l’italica Diana dei Romani, è considerata figlia di Zeus e sorella gemella di Apollo. Così come il fratello, è armata di arco ed è amante della caccia; però, mentre Apollo è visto come la personificazione del sole, Artemide è vista come la personificazione della luna, infatti, è sovente rappresentata con l’inseparabile arco mentre va a caccia di notte, a lume di torcia.

Nelle sue battute di caccia era spesso accompagnata da bellissime ninfe, e guai a chi osava attentare alle loro virtù: il cacciatore Orione fu, infatti, ucciso per aver tentato di violentare alcune delle sue accompagnatrici.

Ai mortali non era permesso neanche di vedere Artemide nuda, lo capì a sue spese un altro cacciatore, di nome Atteone, che, per aver visto la dea nuda, fu prima trasformato in cervo e poi sbranato dai suoi stessi cani.

Giandomenico Tiepolo (Venezia 1727 – 1804) Metamorfosi di Atteone

Come il dio fenicio Baal, Artemide dovette un tempo ricevere sacrifici umani. Si sa, infatti, che nella città di Efeso nella Lidia (Asia Minore) dove sorgeva il tempio di Artemide incendiato nel 356 a.C., si venerava la dea raffigurata con numerose mammelle quale simbolo di fertilità e a cui, anticamente, si sacrificavano vittime umane.

Nell’Attica e a Sparta si compivano, in suo onore, sacrifici umani che furono, in seguito aboliti, anche se a Sparta, ogni anno durante la sua festa, si flagellavano a sangue alcuni fanciulli [Felice Ramorino: Mitologia Classica p. 62]. Traccia di sacrifici umani si possono scorgere anche nel racconto secondo cui l’eroe Agamennone, mentre aspettava il momento buono per partire con la sua flotta contro Troia, uccise, durante una battuta di caccia, un cervo e, preso dall’euforia, si lasciò scappare l’esclamazione “Artemide stessa non avrebbe potuto ucciderlo così”. Artemide, ferita dalla frase, fece alzare una bonaccia che immobilizzò la flotta. Un indovino rivelò la causa della bonaccia aggiungendo che l’unica soluzione era, immolare alla dea Ifigenia, la figlia vergine del re. Fu predisposto il sacrificio ma Artemide, impietosita, sostituì, all’ultimo momento, una cerbiatta alla giovane, che rapì e trasportò nella lontana terra del Tauride nel Mar Nero (Crimea), dove la fece sacerdotessa di un tempio a lei dedicato. È probabile che il racconto voglia evidenziare l’allontanamento dai sacrifici umani liberandolo dall’influenza orientale del culto.

Affresco raffigurante il Sacrificio di Ifigenia Casa del Poeta Tragico, Pompei

L’allontanamento dai sacrifici umani e la loro sostituzione con quelli animali sono riscontrabili nelle feste che prendevano il nome di Lafrie, in onore di Artemide Lafria, durante le quali venivano sacrificati sul rogo animali domestici e selvatici.

Non mancavano inoltre feste dal carattere orgiastico, simili a quelle di Dioniso: come le Efesie, che si svolgevano ad Atene di notte.

Il Culto di Artemide in Sicilia

In Sicilia il culto di Artemide era particolarmente diffuso; se ne parla ad Agrigento, Alesia, Centuripe, Leontini, Murganzia ed anche in una delle tre Ible di Sicilia: quella Etnea. Il Ciaceri racconta che a Centuripe (a 35 km. a nord-ovest di Catania), appeso allo scheletro della testa di una ragazza, chiuso in una cassa di piombo, è stato trovato un medaglione fittile rappresentante Artemide [Ciaceri Emanuele: Culti e Miti dell’Antica Sicilia p. 174]. Secondo alcune versioni del mito Artemide si recò nell’isola di Lipari (Isole Eolie), dove si trovava la fucina dei Ciclopi per ottenere le armi di cui aveva bisogno (un arco, la faretra e le frecce). La fucina dei Ciclopi è anche collocata, in altre versioni e miti sotto l’Etna

Siracusa

Il culto di questa dea era particolarmente fiorente a Siracusa, nell’isola di Ortigia, dove il suo tempio sorgeva vicino a quello di Atena [Diodoro Siculo lib. V.3], con la quale aveva delle affinità: entrambe, infatti, erano state compagne di Persefone. Racconta Diodoro che Atena e Artemide, fecero, così come, aveva fatto Persefone, la scelta di rimanere vergini, e, quindi, furono allevate assieme a lei. Non è un caso che il culto di Artemide a Siracusa sia legato a quello di Demetra e Persefone. Addirittura, Artemide è vista dal Pausania come figlia di Demetra; altri, invece, la considerano figlia di Persefone.

  

 Siracusa – Fontana di Artemide (Foto: Ignazio Caloggero)

Selinunte

La presenza del culto a Selinunte sarebbe dimostrata dal ritrovamento di una metopa che raffigura la dea.

Camarina

A Camarina, il culto della dea sarebbe dimostrato dal ritrovamento di alcune statuette votive dedicate alla divinità, alcune di queste sono ora conservate al museo archeologico di Ragusa.

Segesta

A Segesta il culto di Artemide doveva essere particolarmente fiorente, come si deduce dalla lettura di Cicerone (Verrine II. IV. 72-80), che descrive una statua bronzea raffigurante Diana presente nella città e della sua sottrazione da parte di Verre, Governatore romano della Sicilia dal 73 al 71 a.C. Cicerone racconta che, presso i Segestani, esisteva una statua bronzea di Diana, “circondata da una venerazione tutta particolare che risaliva a tempi molto antichi, per di più magistralmente eseguita in uno stile veramente originale e con straordinaria abilità”.

Segesta fu distrutta e saccheggiata dai Cartaginesi che portarono via la statua. Dopo la presa di Cartagine da parte di Publio Scipione, durante la terza guerra punica, la statua fu riconsegnata ai Segestani che la risistemarono nell’antico sito, sopra un piedistallo sul quale era scolpito il nome di Publio Scipione, a ricordo della restituzione della statua.

“la statua era di notevoli proporzioni e di considerevole altezza, con un lungo manto. E tuttavia pur in quella maestosità, trasparivano l’età e il portamento di una vergine. Dalla spalla pendevano le frecce, con la mano sinistra impugnava l’arco, con la destra teneva protesa una fiaccola accesa”.

Verre ordinò ai Segestani di rimuovere la statua e di consegnarla a lui; il loro rifiuto fu punito con una serie di angherie che, alla fine, costrinsero la popolazione di Segesta a sottomettersi al volere di Verre e deliberare un appalto per la rimozione della statua. Nessun Segestano, però, libero o schiavo che fosse, osò toccare la statua per rimuoverla; per risolvere il problema dovettero essere chiamati, da Marsala, alcuni operai di stirpe non greca che, tra il dolore e la costernazione dei Segestani, rimossero la statua.

“mentre Diana veniva portata fuori dalla città, accorsero tutte le donne di Segesta, sia sposate che nubili, la cosparsero di unguenti profumati, la coprirono di corone di fiori, la scortarono fin sui confini del loro territorio bruciando incenso ed essenze odorose”.

Sincretismo religioso

L’arrivo del Cristianesimo vede Artemide prima confondersi con lo stesso demonio alla guida notturna delle streghe [Carlo Pascal: Dei e diavoli nel paganesimo morente. p. 88], poi con la Madonna; non a caso, secondo la tradizione, la vergine Maria avrebbe vissuto gli ultimi anni della sua vita a Efeso, sede del famoso tempio di Artemide, citato precedentemente [Ambrogio Donini: Breve storia delle religioni. p. 138].

 Il Mito nel Registro LIM della Regione Sicilia

I luoghi del mito di Artemide – Diana sono stati inseriti nella Carta regionale dei luoghi e dell’identità e della Memoria (I Luoghi del mito e delle Leggende). Anche se il riconoscimento della Regione siciliana si limita unicamente ai luoghi di Siracusa e Isole Eolie. Tra i luoghi interessati al mito andrebbero inseriti almeno Selinunte e Segesta

 

dianaeattteoneDiana e Atteone Tiziano (1556-1559)

Per visualizzare i luoghi del Mito, compresi quelli inseriti nella LIM, su Mappa Interattiva si veda la seguente pagina web: I luoghi di Artemide (Diana)

Estratto dal Libro ” Culti dell’Antica Sicilia” di Ignazio Caloggero ISBN: 9788832060102 © 2022 Centro Studi Helios srl

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