1979: L’incendio su Nave Audace (di Ignazio Caloggero)

Quella sera eravamo ormeggiati in porto, a La Spezia, in pausa tra una navigazione e l’altra, io non ero di servizio, ma non avevo voglia di uscire, erano le dieci o giù di lì, sentivo pesante su di me, più del solito, l’angoscia della solitudine, nessuna voglia, nessuna gioia. Mi sdraiai sulla mia branda, nella sala dormitorio di poppa eravamo una decina, gli altri erano in libera uscita, e forse, molti di loro, rimasti come me in quel dormitorio, provavano sensazioni simili alle mie, giovani, lontani da casa, dalle famiglie, dalle ragazze.

Brutta cosa stare lontani dalla propria ragazza, ancora peggio quando la ragazza non ce l’hai, perché non hai qualcuno a cui pensare, un viso amato che spunta quando chiudi gli occhi, carezze date e ricevute, promesse, addii.

Per consolarmi pensai che a non avere una ragazza si ha un vantaggio, in questi casi puoi avere tantissime ragazze, anche se, purtroppo solo nella mente. Quella sera, così come tantissime altre sere, alzai le lenzuola su di me e con la mia ragazza di turno ci appartammo, soli in mezzo a tanti. Chissà, forse in quel posto, quella sera, ognuno di noi era solo, solo in mezzo a tanti.

La mia ragazza di turno era appena andata via ed io mi sentivo ancora più angosciato di prima, più solo di prima… ad un certo punto sentii dagli altoparlanti il suono dell’allarme, avevo sentito spesso quel suono, era la chiamata per esercitazione della squadra antincendio, pochi istanti dopo fu chiamata la squadra antincendio in cucina. Mi sembrò alquanto strana una esercitazione, ma non avevo voglia di analizzare la cosa, ero troppo preso dai miei problemi esistenziali. Dopo una decina di minuti sentii nuovamente l’allarme, questa volta non potei fare a meno di prestare attenzione alle parole che uscivano dagli altoparlanti della nave, una voce, leggermente tremante, disse che non era una esercitazione, che bisognava abbandonare la nave.

Mi vestii e salii sul corridoio di poppa, c’era del fumo anche se non mi sembrava così tanto, non capivo perché dovevamo abbandonare la nave dal momento che la squadra antincendio era in opera, non sapevo ancora che forse era stata proprio la squadra stessa che aveva favorito tutto quel trambusto.

Quella sera la cucina aveva lavorato fino a tardi, credo per un rinfresco al quadrato ufficiali, l’olio surriscaldato di una friggitrice aveva preso fuoco, qualcuno disse poi che chi era intervenuto per spegnere l’incendio aveva sbagliato, indirizzando il getto dell’estintore direttamente sull’olio infiammato, facendolo spargere sulla paratia che dopo un po’ aveva iniziato a prendere fuoco.

Fu dato quindi l’ordine di abbandonare la nave, cosa per fortuna non difficile dal momento che non ci trovavamo in navigazione; ma se qualche minuto prima era la solitudine il sentimento che prevaleva su di me, adesso era la curiosità che gestiva il mio comportamento, non abbandonai la nave ma rimasi a poppa incuriosito da quanto stava accadendo.

Dal portello di poppa il fumo che usciva era aumentato, ad un certo punto qualcuno portò una specie di pompa con l’obiettivo di facilitare l’uscita del fumo dall’interno della nave, io mi trovavo vicino al portello per caso, o sarebbe meglio dire per curiosità, qualcuno vedendomi lì mi chiese di tenere alto il bocchettone della pompa in direzione dell’ingresso del portello. Così, sempre per caso, inizio la mia avventura.

Il fumo aumentava in continuazione, e mi dava parecchio fastidio, chiesi se potevano portarmi una maschera o comunque qualcosa che potesse aiutarmi a respirare; mi portarono una maschera con delle bombole per l’autorespirazione (la mia ignoranza ha fatto sì che li chiamassi “bombole con l’ossigeno”), la indossai, era la prima volta in vita mia, non ci feci nemmeno caso. Dopo qualche minuto, uno dei presenti disse che vicino la sala macchina, non lontano da dove ci trovavamo, c’era una manichetta antincendio che poteva essere utilizzata per buttare acqua sul fuoco proprio dal corridoio di sinistra della nave che dava direttamente sulla cucina. C’era molto fumo e non sarebbe stato facile arrivare nel punto dove era posizionata la manichetta, bisognava scendere delle scale e cercare il posto esatto dove era posizionata la manichetta, a meno di disporre di una maschera con l’autorespiratore e, guarda caso, ero l’unico in quel momento ad essere attrezzato allo scopo. Così tocco a me entrare nella nave dal portello di poppa a cercare la manichetta.

Una volta entrato dentro il corridoio fu come entrare in un’altra dimensione, solo, in un ambiente saturo di fumo, con la visibilità ridotta, mi indirizzai nella zona indicatemi, non so come ma dopo alcuni minuti trovai quella manichetta la srotolai e senza quasi che me ne accorgessi feci la cosa che consideravo più normale, almeno in quel momento, aprii l’acqua e attraversai il corridoio dirigendomi in direzione della cucina da dove aveva avuto inizio il fuoco.  Ecco che la sorte, per puro caso mi portò a tu per tu con il fuoco, nel corridoio sinistro di nave Audace all’altezza della panetteria.

Anche da altri punti di ingresso erano venute persone a buttare acqua sul fuoco, ma a differenza di altri io avevo un corridoio lungo quasi metà nave che mi separava dall’uscita. Quando percepì questo, diciamo, piccolo dettaglio, iniziai ad avere un pizzico di paura, il respiro con le bombole divenne più difficile, affannoso, provai un senso di claustrofobia ed ebbi il desiderio di abbandonare tutto e fuggire fuori dalla nave per potermi togliere quella maschera per respirare meglio. Prima che potessi fare una cosa del genere scattò in me l’orgoglio; no, non potevo permettere che avvenisse una cosa del genere, mi venne in mente il periodo in cui facevo esercizi di training autogeno, ci riprovai, cercai di convincermi ripetendo lentamente nella mia mente che dovevo respirare senza fretta affinché il flusso della miscela con l’ossigeno delle bombole potesse bastare, e così avvenne, per la prima volta in vita mia applicai sul campo gli effetti positivi del training autogeno. L’esercizio di respirazione controllato funzionò così bene che ad un certo punto la paura lasciò il posto ad una forma di eccitazione (a meno che tale stato non fosse dovuto alla miscela che arrivava dalle bombole), decisi che sarei rimasto li a combattere il fuoco.

Dopo un po’ vennero in soccorso altre due persone, un radarista di cui non ricordo il nome e Cesare un mio collega della centrale di tiro, il luogo di lavoro a cui ero assegnato. Più tardi al gruppo si aggiunse una persona che non conoscevo, seppi dopo che era un pompiere, probabilmente il capo del gruppo di pompieri che nel frattempo era intervenuto. Gli altri tre si alternavano, io, non so perché, ero sempre li davanti a tutti con la manichetta in braccio e lo sguardo sul fuoco che avanzava, nonostante la grande quantità di acqua che buttavamo.

L’acqua ai miei piedi saliva, da altri punti di accesso della nave continuavano a buttare altra acqua che accumulandosi nel corridoio si alzava arrivando ormai all’altezza delle mie caviglie, forse a causa dell’acqua, per evitare corti circuiti, o forse per altri motivi ad un certo punto fu tolta la luce, rimanemmo al buio, l’unica cosa che riuscivo a vedere erano le fiamme che uscivano dalle paratie. Probabilmente non ero abituato a respirare ossigeno da una maschera o forse era lo stato di eccitazione, fatto sta che mi dimenticai del mondo, eravamo solo io, il fuoco e l’acqua, ogni tanto percepivo che dietro di me c’era qualcuno (Cesare o il pompiere, non ricordo), e questo avveniva in particolare quando la persona dietro di me, per sbaglio ogni tanto indirizzava il getto d’acqua in modo che ampi spruzzi di acqua fresca mi colpivano le spalle. Quello dell’acqua fresca addosso era una sensazione bellissima in quanto faceva molto caldo e l’acqua che ricadeva dal soffitto surriscaldato era molto calda, inoltre,  ogni tanto cadeva del materiale, forse l’isolante dei cavi elettrici sciolto dal calore, che sembrava pece e che si appiccicava sulla testa e sul collo ecco quindi che l’unico refrigerio era dato proprio dall’acqua che fuoriusciva dalla manichetta dietro di me.

Il principale ricordo di quella sera è la lotta tra me e il fuoco, ero così preso dalla lotta che non mi accorgevo quasi del tempo che passava, qualcuno alle mie spalle mi consigliò di cambiare, prima che si esaurissero, le bombole per l’autorespirazione. Cambiai le bombole ma lo feci come un automa, uscii, le feci sostituire e ritornai immediatamente al mio posto a combattere di nuovo in prima fila; il desiderio di posizionarmi davanti agli altri era semplicemente dovuto al fatto che era il solo modo che avevo per ricevere la mia razione di acqua fresca sulle spalle, ogni qualvolta il getto dell’acqua che fuoriusciva dalla manichetta che stava dietro di me lo permetteva.

Non ero un pompiere, era la prima volta che mi trovavo in una situazione come quella, mi sentivo piccola cosa, spettatore di eventi molto più grandi di me, eppure rimanevo lì a combattere, orgoglioso e testardo, confuso, ma orgoglioso e testardo.

Capì come può essere insidioso il fuoco: al buio lo vedi, tu butti l’acqua e lui sembra soccombere, ma non è vero, lui subdolamente cova dentro le paratie imbottite di materiale che lo rallenta ma che allo stesso tempo lo mantiene vivo, cammina per percorsi invisibili surriscaldando il materiale circostante fino a quanto, nel momento più inatteso, esce fuori dalle paratie con tutta la sua forza, con tutta la sua arroganza a ricordarti che lui è forte, che può farti male e a te non rimane altro che indietreggiare accettando, almeno in quei momenti, il tuo stato di inferiorità nei suoi confronti.

Tutto quel tempo al buio, contro il fuoco, all’inizio pensai al buio come un nemico ulteriore alleato del fuoco, scoprii presto che invece era mio alleato, qualcuno dietro di me accese una lampada per far luce, con il risultato che invece del fuoco si vedeva solo un muro di fumo che impediva di scorgere in tempo quelle fiammate pericolose che ogni tanto uscivano dalle paratie. <<Spegnete quella cazzo di luce>> urlai, fui accontentato, con sollievo vidi che con il buio potevo di nuovo vedere il mio nemico. Era diventata una lotta personale tra me e il fuoco, e devo dire che lo era, almeno in quella parte della nave.

In vita mia purtroppo ho avuto pochi momenti di gioia, uno di questi avvenne proprio quella sera, quando mi accorsi per la prima volta che non indietreggiavo più, perché era il mio nemico che si ritirava, e lo faceva prima lentamente, poi più velocemente fino a quando non  arrivai in prossimità della cucina, il punto da cui era partito, il punto dove dopo circa due ore, dall’allarme antincendio, fu definitivamente vinto. Ero stanco, felice, soddisfatto, la testa tutta sporca, i capelli appiccicati a causa del materiale simile alla pece che con il calore si era sciolto e mi era caduto addosso. Sapevo di aver fatto qualcosa di grande, almeno una volta nella mia vita. In realtà quella sera in molti avevamo fatto qualcosa di grande.

In seguito, guardai fin dove era arrivato il fuoco, era arrivato a meno di due metri dal deposito dei missili. Qualcuno disse poi che il sistema antincendio del deposito missili non si era attivato, e c’erano oltre trenta missili con testata di guerra, con non so quanti chili di tritolo ognuno. Quella sera ci furono decine e decine di eroi, e io avendo impedito che il fuoco arrivasse al deposito dei missili,  ero uno di quelli, non so se fu più decisivo il mio operato o quello di altri in altri punti della nave, sicuramente fu decisivo l’operato di tutti. Fu preso ad esempio e indicato come eroe un ragazzo che entrò, appena spento il fuoco, nel deposito missili a controllarne lo stato. Nessuno però si preoccupò di notare che se lui poté entrare nel deposito e perché altri impedirono al fuoco di arrivare fino a lì. Mi dispiacque un po’ che nessuno, in quella grande confusione, ebbe cura di citare le quattro persone che avevano lottato per quasi due ore contro il fuoco da dentro la nave, al buio, nel corridoio di sinistra, d’altra parte, non potevo farlo io, avrei snaturato il mio gesto, il primo gesto della mia vita di cui ero pienamente orgoglioso.

Non posso essere sicuro degli effetti del mio operato, ma ho il giustificato sospetto che se non mi fossi dato da fare il fuoco avrebbe raggiunto il deposito dei missili della nave e quello che sarebbe di conseguenza successo, considerato che la nave era in porto, vicino ad altre navi a loro volta ognuna con la propria santabarbara piena di armi, forse sarebbe stata una carneficina con decine, forse centinaia di morti, è anche probabile che il destino di nave Audace sarebbe terminato quella sera, visto i danni incalcolabili che avrebbe subito a seguito dello scoppio, ma questo lo potrebbe dire solo un esperto. L’unica cosa che posso affermare con certezza è che quella sera raggiunsi un risultato importante, sentirmi, per la prima volta veramente utile, è questo mi bastò, considerando che in quel periodo (e non solo) la stima che avevo per me era a livelli bassissimi. Quella sera mi rivalutai tantissimo, se non agli occhi degli altri almeno ai miei.

La sera dell’incendio su nave Audace, il mio contributo non ebbe riconoscimenti, in compenso circa tre anni dopo ricevetti un encomio per essere andato a zonzo, a Catania, con dei candelotti di dinamite. Certo che è strana la vita, fai la cosa, forse più importante della tua vita e quasi nessuno se ne accorge, ti porti appresso, come un idiota, una bomba in mezzo al traffico e per alcuni diventi un eroe… ma questa è un’altra storia.

Chi è Ignazio Caloggero (curriculum non standard per conoscere l’autore)

La sera dell’incendio. Foto fornitami gentilmente da Carlo un “audace” presente quella sera. 

Io al Radar del Tiro di Nave Audace

 

 

 

 

Condividi/Share
Share

Leave a Reply

Thanks for submitting your comment!
Share