Saperi della Civiltà Mineraria (EN)
Descrizione

Saperi della Civiltà Mineraria – Provincia di Enna

Il riconoscimento del bene “Saperi della Civiltà Mineraria” – Libro dei Saperi – , riguarda quattro ambito territoriali:

Provincia di Agrigento (scheda tecnica con n. progr. 7)

Provincia di Caltanissetta  (scheda tecnica con n. progr. 8)

Provincia di Enna (scheda tecnica con n. progr. 11)

Comune di Lercara Friddi (PA) (scheda tecnica con n. progr. 53)

Il Bene può essere messo in correlazione con il Bene “Detentori dei Saperi della Civiltà Mineraria” – Libro dei tesori  umani viventi che riguarda “I surfatari” della Provincia di Caltanissetta (scheda n. 10) e quelli della provincia di Enna (scheda n. 12)

Inserimento scheda: Ignazio Caloggero

Foto: web

Contributi informativi:  Regione Sicilia, Ignazio Caloggero, Web , 

Nota: Il popolamento delle schede della Banca dati Heritage, procede per fasi incrementali: catalogazione, georeferenziazione, inserimento informazioni e immagini. Il bene culturale in oggetto è stato catalogato, georeferenziato ed inserite le prime informazioni. Al fine di arricchirne i contenuti informativi sono graditi ulteriori contributi, se lo desiderate potete contribuire attraverso la nostra area “I Vostri Contributi

Nota esclusione responsabilità

Inserimento scheda: Heritage Sicilia 

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Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana 

 
Registro Eredità Immateriali
N. Prog.
11
Bene
Saperi della Civiltà Mineraria
Libro
REI – Libro dei saperi
Data approvazione
25-01-2006
Categoria
Saperi
Provincia
Enna
Località
Sicilia centro meridionale
Comune
 
Denominazione locale
 
Notizie Cronologiche
Già nei primi secoli dell’Impero Romano si ha notizia di alcuni cristiani condannati dai tribunali “ad metalla” in Sicilia, ovvero forzati a scavare in cave e miniere per l’estrazione di materie prime. Sin da allora lo zolfo e il sale erano le principali materie estratte e partivano verso i più lontani lidi dell’impero e dei paesi ad esso collegati da vincoli commerciali. Nel Seicento e nel Settecento l’impennarsi della richiesta dello zolfo per la produzione della polvere pirica motivò l’apertura di tantissimi siti estrattivi e la creazione di miniere in galleria in sostituzione alle cave a cielo aperto (le pirrere) che sino ad allora avevano soddisfatto il mercato. Intorno a Enna nacquero così i poli minerari di Gallizzi, Floristella, Grottacalda, Giummentaro, Volpe, Salinella, Caliato; nel comprensorio di Aidone il grande polo del Baccarato, a Calascibetta la miniera di Realmese. Per tutto il XIX secolo le miniere fecero da perno per la vita dell’intero centro Sicilia: masse incredibilmente folte di minatori, operai, lavoranti e tecnici, vissero le loro intere esistenze a stretto contatto con il minerale, sacrificando in miniera l’infanzia e la gioventù con la sola compagnia del canarino e con la paura di finire i propri giorni schiacciati dal peso della terra riarsa dal sole.
Ricorrenza
Data
 
Occasione
 
Funzione
 
Attori
 
Partecipanti
 
Descrizione
La civiltà mineraria nella zona dell’ennese rappresentava, insieme all’agricoltura, la maggiore tradizione produttiva. Nel corso dei secoli, ha generato non solo una trasformazione dell’economica locale, ma anche una mutazione sociale nella sfera produttiva per via del grande numero di operai affiliati al lavoro in miniera.
L’attività estrattiva dello zolfo nel centro Sicilia ha raggiunto il momento di massima importanza economica alla fine dello scorso secolo, per essere colpito poi da una crisi irreversibile che si è a lungo protratta nel tempo e che ha portato inevitabilmente all’abbandono di un patrimonio fatto, oltre che di storia sociale, anche di strutture, impianti e reperti estremamente significativi.
Tra le tecniche di fusione dello zolfo, oltre al calcarone e ai forni Gill, se ne annoverano anche altre. La flottazione può essere considerata come l’unica alternativa alla fusione. Questo sistema consiste nella separazione del minerale dalla ganga con l’utilizzo di sostanze e procedure che ne favoriscano il distacco. In pratica il materiale estratto viene triturato e quindi messo in sospensione in un liquido, generalmente acqua, al quale si aggiunge un agente “spumeggiante”. L’impasto fa imbibire il materiale dal resto della ganga e ne consente la separazione fisica. Il termine “flottazione” deriva dalla possibilità di utilizzo di differenti composti chimici utilizzati come agenti flottanti.
Il metodo Frasch, invece, si distingue dalle tecniche tradizionali, in quanto unisce in un unico ciclo di operazioni sia l’estrazione che la fusione del minerale con dei valori di purezza del prodotto non ottenibili altrimenti senza ricorrere alla raffinazione. Il processo consiste nell’intercettazione, a mezzo di trivellazioni meccaniche, della vena solfifera a profondità variabili, nella fusione in loco per mezzo di acqua e vapore acqueo ad alta temperatura e nel trasporto del minerale in superficie, attraverso un tubo, mentre permane lo stato di fusione. All’esterno lo zolfo fuso viene raccolto in vasche e quindi spostato in un contenitore di deposito. Al notevole contenuto tecnologico di questo metodo fa riscontro la necessità di una rilevante quantità di energia necessaria per il funzionamento del materiale.
Infine la molitura consiste nella polverizzazione dello zolfo grezzo di elevata qualità o di quello raffinato. Lo zolfo sminuzzato in un frantumatore metallico viene portato al frantoio costituito da una base di 2 metri di diametro sulla quale girano due molazze circolari. La polvere che si ottiene viene meccanicamente trasportata all’interno di buratti con un crivello interno in rete metallica e uno esterno in seta. La polvere di zolfo che passa attraverso la rete metallica costituisce il “molito” che viene quindi distaccato. La parte trattenuta dalla rete e dal tessuto di seta viene nuovamente avviata alla molitura.
 
Bibliografia
Addamo, Sebastiano. 1989. Zolfare di Sicilia. Palermo: Sellerio.
 
Rebecchini, Giuseppe. 1991. Le vie dello zolfo in Sicilia. Roma: Officina.
 
Renda, Francesco. 1987. La Sicilia degli anni ’50: studi e testimonianze. Napoli: Guida.
Sitografia
 
Filmografia
 
Discografia
 
Note
Nel bacino dell’ennese sono numerose le aree minerarie attrezzate, ossia quelle zone di riqualificazione relative al funzionamento di bacini minerari che interessano uno o più Comuni.
Ne segue un elenco con le più significative.
 
Floristella-Grottacalda
Comuni di Enna e Piazza Armerina.
E’ uno dei più grandi siti minerari siciliani, la cui apertura risale ai primi dell’ ‘800. Di proprietà della famiglia Pennisi di Acireale fino al 1963, poi passata in mano all’Ente Minerario Siciliano, la miniera di Floristella ha continuato la sua attività fino al 1987.
L’importanza di questo parco è data dalla sua rilevanza storica e dalle preesistenze architettoniche di ambedue le miniere. Inoltre in esse si ha la piena conoscenza e consapevolezza delle varie tecniche estrattive che ha seguito la storia della cultura zolfifera.
 
Gaspa- Latorre e Pagliarello
Comune di Villarosa.
L’importanza di questo parco è legata all’estrema rilevanza ambientale dei luoghi.
 
Zimbalio- Giangagliano
Comune di Assoro.
Significativa in questa zona mineraria la presenza di alcuni reperti di estrema importanza (il castelletto in legno in Zimbalio, con meccanismi delle gabbie comandati da funi piatte) e il valore ambientale dell’area (i valloni di Assoro che esprimono una certa austerità in linea con l’ambientazione mineraria).
 
Baccarato Pintura Mazzarino
Comune di Aidone.
Si tratta di tre miniere di piccole dimensioni, situate a poca distanza l’una dall’altra, chiuse nel 1963. Rimangono visibili solo alcune strutture come i “calcheroni”, un’enorme torre per la “gabbia”, ossia una sorta di ascensore, e alcuni resti delle strutture ferroviarie. Qui potrebbe essere valutato un intervento di riqualificazione dell’area, sia per la presenza di tali manufatti, sia per l’ambiente circostante.
 
Miniera Faccia Lavata
Comune di Leonforte.
Vi si possono osservare qui i forni “Gill”, sistema relativamente recente di fornaci per lo scioglimento dello zolfo.
Autore Scheda
Francesca Maria Riccobene
 
 
SCHEDA N. 53

Registro Eredità Immateriali

N. Prog.53
Bene:Saperi della Civiltà Mineraria
Libro:REI – Libro dei saperi
Data approvazione:27-06-2006
Categoria:Saperi
Provincia:Palermo
 
Comune
Lercara Friddi
Denominazione locale
 
Notizie Cronologiche
La civiltà mineraria nella cittadina di Lercara Friddi si è sviluppata a seguito del ritrovamento di una ricca vena zolfiera nel 1828, generando un processo di sviluppo economico e culturale che ha portato con sé anche sfruttamento e sciagure umane.
Da un processo di sviluppo iniziato nella prima metà dell’Ottocento la crisi del settore minerario, che investì la Sicilia intorno agli anni ’60 del Novecento, generò per la cittadina palermitana una profonda emergenza occupazionale.
Ricorrenza
Data
 
Occasione
 
Funzione
 
Attori
 
Partecipanti
 
Descrizione
Fulcro della storia, soprattutto economica, di Lercara Friddi è la scoperta dei giacimenti di zolfo, unici nella provincia di Palermo.
I lavoratori del sottosuolo, picconieri adulti o carusi, sostenevano ritmi disumani caratterizzati da turni di lavoro a ciclo continuo di otto ore rinchiusi in spazi angusti, male illuminati e scarsamente arieggiati, dove l’umido, le alte temperature e le impurità nuocevano alla loro salute.
L’estrazione del minerale veniva fatta manualmente dai picconieri e il materiale veniva trasportato a spalla. Dal 1800 in poi per il trasporto venne utilizzato un ascensore che non solo conduceva nei meandri della grotta i minatori ma portava in superficie lo zolfo che veniva poi depositato in carrelli e condotto alla lavorazione.
Il minerale sulfureo veniva fuso per eliminarne le impurità e colato in stampi. Il proseguire del sapere nella tecnica di lavorazione dello zolfo portò a un cambiamento delle stesse. In origine veniva usato un tipo di forno chiamato calcarone che liberava, tuttavia, esalazioni dannose non solo per le culture, ma soprattutto per la salute dei lavoratori. Metodo, questo, ben presto proibito e sostituito dalla macchina Duvand che tuttavia non riuscì a eliminare del tutto l’anidride solforosa. Nello specifico la tecnica del calcarone fu messa a punto nel 1851 e fu caratterizzata dal netto aumento del rendimento. La costruzione del calcarone richiedeva poche cautele: bastava individuare una porzione di terreno ben riparata dai venti, poco distante dagli ingressi di pozzi e calate, possibilmente non in corrispondenza del sottosuolo. Su un’area di forma circolare con una certa pendenza si tracciava il recinto, la parete esterna che individuava forma e caratteristiche di questa sorta di grande forno senza copertura. In corrispondenza del punto più basso, si trovava la “morte”, ossia il luogo di comunicazione tra l’interno del forno e l’esterno durante tutte le fasi di fusione. La costruzione doveva essere ben eseguita per non permettere all’aria di entrare e provocare involontariamente l’accensione dello zolfo.
Il principio di base è quello di una fusione alimentata, fatta eccezione per una breve fase iniziale, dalla combustione dello zolfo. L’operaio addetto alla gestione del calcarone, “arditore”, provvedeva all’accensione con frasche impregnate di zolfo che venivano inserite in punti caratteristici del calcarone stesso, dove iniziava una lenta fusione. Questa poteva durate anche 20-30 giorni. Seguiva quindi la seconda fase, quella della produzione, quando, forato con un ferro rovente lo sportello della morte, iniziava a fuoriuscire il minerale liquido, riversandosi in forme a tronco di piramide con una capacità di 75 Kg. Il contenuto delle forme, solidificato in “pani” (o “balate” in termine dialettale), andava accatastato in attesa di essere trasportato nel luogo di smercio o di imbarco.
 
Confronta schede:
SCHEDA N.7 “Saperi della Civiltà Mineraria”
SCHEDA N.8 “Saperi della Civiltà Mineraria”
SCHEDA N.11 “Saperi della Civiltà Mineraria”
Bibliografia
Addamo, Sebastiano. 1989. Zolfare di Sicilia. Palermo: Sellerio.
 
Caruso, Danilo e Corrado, Pirrello, a cura di. 2008. Miniere di Lercara Friddi. Lercara Friddi: Associazione cocio-culturale Cartastampata.
 
Renda, Francesco. 1987. La Sicilia degli anni ’50: studi e testimonianze. Napoli: Guida.
 
Zanna, Gianfranco, a cura di. 2010. Memoria, Bellezza e futuro delle zolfare siciliane. Palemo: Luxograph.
Sitografia
 
Filmografia
 
Discografia
 
Note
Nel 1874 fu istituita una commissione d’inchiesta da parte del ministro dell’Industria per indagare sulle condizioni di lavoro dei minatori di Larcara Friddi. Dall’indagine ne emerse una situazione allarmante dal punto di vista delle condizioni di lavoro e di disumano sfruttamento dei minori che venivano acquistati dalle famiglie, alimentando una vera e propria tratta di schiavi.
L’inchiesta si concluse proponendo un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei lavoratori, il divieto di assumere donne e il divieto di ingaggiare lavoratori di età inferiore a dodici anni, proponendo particolari tutele per quelli di età compresa tra i dodici e i ventuno anni.
In questa campagna di sensibilizzazione si distinse la figura del medico lercarese Alfonso Giordano che riuscì a curare una forma anemica parassitaria da cui erano affetti i minatori: l’anchilostomiasi.
Autore Scheda
Francesca Maria Riccobene
 

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