I luoghi del racconto filmico: Garofano Rosso
Luogo inserito nel registro LIM della Regione Sicilia (I Luoghi del racconto letterario, televisivo e filmico) – Settore “Luoghi dell’identità meridionale della Sicilia nelle trasposizioni cinematografiche del testo letterario”
“ Garofano rosso ” , 1976, ( da “ Garofano rosso ” di Elio Vittoriani ) regia di Luigi Faccini:
- Siracusa
Scheda:
GAROFANO ROSSO 1976
Sceneggiatura: Luigi Faccini (ispirata liberamente a Il garofano rosso di Elio Vittorini). Collaborazione: Piergiovanni Anchisi. Fotografia: Arturo Zavattini. Scenografia: Marco Dentici. Costumi: Chiara Ghigi.
Fotografo di scena: Angelo Frontoni. Montaggio: Luciano Benedetti. Musica: Banco del Mutuo Soccorso.
Missaggio: Elio Guarrera. Regia: Luigi Faccini.
Con: Miguel Bosè, Denis Karvil, Elsa Martinelli, Marina Berti, Carlo Cabrini, Maria Monti, Isa Barzizza,
Marisa Mantovani, Giovanna Di Bernardo, Giuseppe Atanasio, Giovanni Rosselli, Alberto Cracco
e molti altri.
Una produzione Filmcoop. Finanziamento EGC e art. 28.
Sviluppo e stampa: Cinecittà. Girato in Kodak 35 mm colore. Durata: 113’.
Distribuzione: Italnoleggio Cinematografico. Prima uscita in VHS con Fonit-Cetra (esaurita).
Siracusa, 1924. Storia di una educazione, non solo sentimentale, il film racconta la vicenda di Alessio Mainardi, uno studente che viene dall’interno della Sicilia per frequentare il liceo. Entra in contatto con i giovani fascisti che si ribellano, confusamente, ai valori e alle gerarchie borghesi. Si innamora di una compagna di scuola, Giovanna, dalla quale riceve in pegno un garofano rosso, simbolo d’amore e filo conduttore della storia. Ma la ragazza scompare. Alessio ostenta quel garofano. Gli studenti fascisti lo irridono. Di uno di loro, Tarquinio, subisce l’influsso, fino ad essere coinvolto nelle violenze contro chi protesta per l’uccisione di Matteotti. Dopo un soggiorno a casa, in campagna, e l’incontro con la famiglia, soprattutto la vicinanza del mondo contadino e della fornace di cui è proprietario il padre, un ex-socialista, le idee di Alessio evolvono. Tornato in città, trova nuovi ospiti nella pensione, giovani che fanno intuire una cellula comunista in formazione e che sembrano volerlo attrarre nel loro gruppo. Alessio varca per la prima volta la soglia di un bordello e incontra la maliosa Zobeida, della quale Tarquinio aveva favoleggiato. È la sua iniziazione sessuale. Alessio ormai sa che non rivedrà più Giovanna. Tarquinio gliel’ha sottratta. E sa che non avrà più contatti con i vecchi amici fascisti. La pistola che, nel finale, Tarquinio gli porge, verrà rifiutata. La raccoglieranno i giovani comunisti che la divideranno tra di loro, quale pegno di una futura lotta contro il fascismo… Non doveva essere Garofano rosso la mia carta d’identità. Elio Vittorini, certamente. Ma un film tratto da Le donne di Messina. Nella struttura doppia di quel libro c’era una storia che ci toccava ancora da vicino. Quella dei reduci e sradicati che, a guerra finita, tornavano nei loro paesi, con mezzi di fortuna, valicando montagne, percor-rendo l’Italia in lunghezza, dal nord al sud, sognando una rigenerazione più etica che materiale. Relitti pieni di incertezze e rancori che la speranza di un “mondo nuovo” illuminava di futuro. Era una metà di quel libro che mi interessava. Era quel camion che tra-sportava il suo carico di umanità dispe-ratamente vitale che mi interessava. Sull’Appennino, poco prima del buio, il camion esalava l’ultimo respiro. I suoi naufraghi, tra i quali si erano appena incrociati sguardi, sofferenze, aspet-tative, cercavano rifugio tra le case diroccate di un paesino abbandonato, dove si insediavano. Prendeva corpo un sogno. Riedificare, arare, coltivare, mietere, rinascere. Una comunità prendeva corpo. Quel sogno svaniva in capo a pochi mesi, quando il grano già spigava nei campi collinari. I legittimi proprietari reclamavano la restituzione del “loro”. Un messo allampanato, che vestiva un lungo trench chiaro, occhiali ben inforcati sul naso aquilino, labbra serpentine dalle quali sfuggivano parole taglienti, ordinava lo sgombero. Le cento e cento diversità, anche truci, a volte vigliaccamente colpevoli, che si erano congiunte prestando il loro volto al futuro, venivano disperse… testo da: http://www.pipernofaccini.it/garofanorosso.htm |
Inserimento scheda: Ignazio Caloggero
Foto: web
Contributi informativi: Ignazio Caloggero, Regione Sicilia