Segesta

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Segesta (o Egesta) fu la più importante fra le città degli elimi, i resti dell’antico centro sono stati individuati sul Monte Barbaro a circa 4 km. a nord-ovest del comune di Calatafimi-Segesta. Gran parte dei resti ritrovati appartengono al periodo greco, anche se non mancano le testimonianze archeologiche che dimostrano un’influenza orientale ancora prima della colonizzazione greca. Sicuramente prima dell’arrivo degli Elimi il luogo era un centro Sicano. Il monte Barbaro è un rilievo calcareo costituito da due cime di circa 400 m divise da un vallone. Le sue pendici sono molto scoscese tranne il versante settentrionale che degrada più dolcemente. Sulla sommità settentrionale sono ubicati il teatro antico, il castello, la moschea medievale e la chiesa quattrocentesca. Ma gli scavi hanno anche messo alla luce una necropoli islamica, un cimitero cristiano connesso alla chiesa triabsidata, un villaggio con abitazioni sorte, in varie fasi edilizie, tra la seconda metà-fine del XII sec. e la prima metà del XIII sec. e altre case sempre di epoca sveva in aree più defilate. 

 Di particolare bellezza sono il tempio, in stile dorico, e il teatro, in parte scavato nella roccia della collina. 

Moneta Didramma (480-461 a.C) Fronte: Cane stante a d.

Moneta Didramma (480-461 a.C) Retro:Testa NinfaSegesta

Cenni Storici

La data della fondazione non è conosciuta, ma da documenti risulta che la città era abitata nel IV secolo a.C. Lo storico greco Tucidide (Storia della guerra del Peloponneso. Lib.VI.2)  narra che i profughi troiani, attraversando il Mar Mediterraneo, giunsero fino in Sicilia, e fondarono Segesta ed Erice. Questi profughi presero il nome di Elimi. Secondo il mito, Segesta sarebbe stata fondata da Aceste (che ne fu il primo re), figlio della nobile troiana Egesta e del dio fluviale Crimiso. 

Ce chi afferma che l’origine degli Elimi fosse la penisola italica. A riprova che popolazione di origine ligura occuparono le zone occidentali della Sicilia, Ettore Pais (Storia dell’Italia Antica) fa notare la somiglianza dei nomi di  località siciliane quali Eryx (Erice) Entella e Segesta, con quelli di Eryx (Lerici) nel golfo di La Spezia, Segesta (Sestri), e nel vicino fiume Entella citato dal poeta Dante.

A causa dei suoi rapporti conflittuali con Selinunte chiese aiuto, durante la guerra del Peloponneso ad Atene, fornendo il pretesto alla rivale di Sparta, per intraprendere, quella che poi risultò per Sparta essere una disastrosa spedizione in Sicilia (415-413). Gli scontri con Selinunte si conclusero nel 409 a.C., quando Selinunte fu assediata e distrutta dai cartaginesi, invocati anche questa volta dai Segestani. Nel 307 a.C. molti Segestani furono terribilmente uccisi o venduti come schiavi dal tiranno siracusano Agàtocle per non aver a lui fornito i richiesti aiuti economici. Agatocle, dopo la feroce repressione, cambiò il nome della città in Diceopoli (città giusta). Nel 276 a.C. la città ritornò sotto l’influenza punica, ma nella prima guerra punica, nel 260 a.C. si alleò ai Romani che ne ebbero grande rispetto perché, secondo la tradizione, avevano origini comuni (discendendo entrambi dai fuggiaschi di Troia). I romani la difesero dal tentativo di riconquista cartaginese. Le fu, quindi, garantito lo stato di città libera, con esenzione dalle imposizioni di tributi, al contrario delle altre città siciliane (civitas libera ac immunis).

Fu nel 104 a.C. che da Segesta iniziarono le rivolte degli schiavi in Sicilia, le cosiddette guerre servili, guidate da Atenione. Queste rivolte furono soffocate nel sangue dai Romani nel 99 a.C.

Segesta fu distrutta dai Vandali nel V secolo, e mai più ricostruita nelle dimensioni del periodo precedente.

Ciononostante, vi rimase un piccolo insediamento fortificato grazie alle mura di età romane rimaste intatte. Sembra che il luogo venga abbandonato verso il VI-VII secolo e ripopolato da popolazione araba verso il XII sec che vi costruirono un villaggio e una moschea. Il nome di Segesta cambiò in “Qualat Barbari”, cioè Castello del Berbero, conosciuto meglio con il nome latinizzato di Castello di Calatabarbaro   e, dopo la cacciata degli Arabi, i Normanni vi costruirono un castello. Questo, ampliato in epoca sveva, fu il centro di un borgo medievale. Nella seconda metà del XIII sec. un evento cruento portò al graduale abbandono del luogo, mentre viene a popolarsi la vicina Calatafimi. Nel 1442 alcuni abitanti di Calatafimi fecero costruire la piccola chiesa di S. Leone, sopra quella di epoca sveva. La costruzione della Chiesa di S. Leone costituisce l’ultima vera testimonianza di vita della località.

Il Mito di Crimiso

Crimiso è il dio fiume siciliano che si trasformò in un cane e si unì alla troiana Egesta (o Segesta) quando costei arrivò in Sicilia. Dalla loro unione nacque Aceste (o Egesto), fondatore della città di Segesta, che accolse felicemente Enea e i Troiani quando approdarono in Sicilia. Il cane è l’elemento che si ricollega ancora una volta alla cultura orientale, e proprio nella monetazione Segestana questo simbolo compare più volte, a ricordo, forse, del culto di Crimiso. Sull’arrivo in Sicilia della troiana Segesta esistono diverse versioni. Una di queste narra che, a causa di discordie intervenute tra il re di Troia, Laomedonte, e un suo magnate, un certo Fenodamante, il re fece arrestare e uccidere quest’ultimo e tutti i suoi discendenti maschi e decise, invece di consegnare le tre figlie a dei mercanti con l’imposizione che fossero condotte in terre lontane. Le fanciulle, sfuggite alla morte grazie alla dea Afrodite, furono condotte in Sicilia dove, al loro arrivo, eressero un tempio alla dea che le aveva protette. Una di queste fanciulle era la nostra Segesta.

Didramma di Segesta (470 a.C ca). Raffigura da un lato un cane che annusa e dall’altro la testa della ninfa Segesta con orecchino collana e diadema

Didramma di Segesta (470 a.C ca). Raffigura da un lato un cane stante a sin. e dall’altro la testa diademata della ninfa Segesta

Il Tempio dorico

Segesta

Particolare è la costruzione del tempio dorico. L’ipotesi prevalente è che non sia mai stato terminato, non presentando resti né della cella né della copertura né delle scanalatura delle colonne: il suo completamento sarebbe stato impedito dalle guerre. Alternativamente si è pensato ad un utilizzo della struttura per riti indigeni o che la cella e la copertura fossero stati costruiti in legno. Recentemente sono state trovate tracce della cella, interrate all’interno del tempio, insieme a tracce di costruzioni precedenti (il che farebbe pensare che il tempio fosse stato costruito su un luogo sacro ancora più antico). Si tratta di un tempio periptero esastilo (ossia con sei colonne sul lato più corto, non scanalate). Sul lato lungo presenta invece quattordici colonne (in totale 36 quindi). Il tempio è stato costruito durante l’ultimo trentennio del V secolo a.C., sulla cima di una collina a ovest della città, fuori dalle sue mura. Per la sua fattura e per il suo attuale stato di conservazione, può considerarsi uno fra i templi più belli dell’antichità.

Il Teatro

Segesta

Il teatro, che può datarsi intorno alla metà del III secolo a.C., è posto sulla collina opposta a quella del tempio, a circa 440 metri di altezza. Sette cunei dividono i posti degli spettatori. Le separazioni sono fatte in travertino. La divisione orizzontale del teatro (diazoma) permetteva lo spostamento degli spettatori da una sezione all’altra del teatro. La zona superiore è semidistrutta, e assai poco rimane anche della scena, che secondo gli studiosi sarebbe stata decorata da colonne e pilastri. Il teatro poteva ospitare oltre 3000 persone.

Il Castello Calatabarbaro

Segesta

Intorno alla fine del XII inizi del XIII secolo, una dimora feudale fu costruita nel punto più alto del sito, nonché, nelle sue immediate vicinanze, una chiesa triabsidata.
Durante la prima fase di costruzione del dongione furono inglobate e riutilizzate strutture preesistenti: muri ‘tardoromani’ e ambienti del periodo islamico dell’abitato (inizi del XII secolo). Pochi decenni dopo la sua fondazione (1220-1250 ca.), l’edificio venne ristrutturato (forse in seguito ad un incendio) ed ingrandito con la costruzione di ambienti nuovi (lato ovest). Intorno alla metà del XIII secolo, prima il villaggio e poi il castello vennero abbandonati e mai più rioccupati.
Notizie storiche:
1293castrum Calatabarberi – Acta Siculo-Aragonensia, I, 1, pp. 231-232,
doc. CCLXXVI.
1328 – i fines Calatabarbari sono citati come limiti del territorio del casale di Arcudaci – ASPA, Archivio Belmonte 1038, e. 15 (Bresc Bresc 1977, p. 352 e n. 13).
1442 (aprile 26) – tre abitanti di Calatafimi fanno costruire una chiesa in monte vocato de Barberu … sub vocabulo Sancii Leu – ASTP, notaio Milo (Bresc Bresc 1977, p. 352). ,
1558 – chiesa di Santa Maria – Fazello, I, VII, IV, p. 346.
Il dongione (m 19,5 x 17,5 nella sua fase finale) fu costruito secondo un preciso progetto architettonico, con una scelta accurata e differenziata (a seconda dell’uso) delle pietre, dei rivestimenti e delle pavimentazioni. Esso era diviso in due piani e non doveva superare i dieci metri di altezza. Si accedeva al piano terra da un ingresso posto sul lato occidentale ed al piano superiore attraverso una scala lignea posta sul lato orientale.
Le stanze dei due piani erano coperte con volte a botte ed erano articolate intorno ad un cortile centrale mattonato sul quale si affacciano gli ingressi del piano terreno e le bifore del primo piano. Il cortile presenta al centro un ‘tombino’ circolare dal quale si diparte una tubatura fittile che convogliava l’acqua piovana non verso l’esterno ma sicuramente verso la cisterna situata all’interno del recinto castrale.
Il castello, riscoperto grazie allo scavo archeologico condotto da A. Molinari del Dipartimento di archeologia e storia delle arti dell’Università di Siena, è stato inserito nel percorso di visita del parco di Segesta, dopo un graduale restauro finalizzato alla conservazione delle strutture monumentali.

 

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© Centro Studi Helios

 

Foto: web

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