VILLA CATTOLICA

La storia di Villa Cattolica inizia con l’ascesa al principato della Cattolica di Francesco Bonanno del Bosco, che ricevette il titolo dallo zio Giuseppe del Bosco Sandoval nel 1720. Nella contrada della Багария questi acquisì in enfiteusi un fondo che comprendeva un baglio con torre, magazzini e chiesetta dedicata alla Madonna del Carmine, di proprietà del convento del Carmine di Palermo.

Nel 1734 diede incarico ad alcuni “pirriatori” del luogo di fornirgli la pietra d’Aspra necessaria per la costruzione di una grande villa sulla precedente secentesca. Nel giro di due anni la fabbrica, almeno nell’aspetto generale, risultava definita. Infatti sul fronte della villa il capo delle maestranze, mastro Pirrello, inserì un piccolo riquadro in tufo nel quale ancora oggi si legge la data e la scritta “mastru Giuseppe Pirrello, vassallo del principe di Cattolica”. La costruzione della monumentale villa si protrasse per fasi successive lungo tutto il diciottesimo. La sua mole solenne è esaltata dalla luminosa cromia bianco-ocra di un restauro recente.

La villa è disposta al centro di una corte circolare con chiesetta sul limite e presentava quattro ingressi: quello principale (Sud-Ovest) rivolto verso la Via Consolare proveniente da Palermo, accoglie il grande scalone monumentale a tenaglia ed il portale di ingresso riccamente decorato e fiancheggiato da due grandi timpani ricurvi su arcate; uno sul lato opposto (Nord-Est), conduceva ad una stradina orientata verso il Monte Catalfano; il terzo nel lato Sud-Est conduceva a Punta Aguglia, una rotonda monumentale contrassegnata dalle guglie in pietra che segnavano l’inizio dello “stradone” per villa Butera e che rappresentava l’ingresso d’onore alla stessa villa (demolite agli inizi del XX secolo); l’ultimo, quello Nord-Ovest, confinava con l’aperta campagna.

L’aspetto massiccio della fabbrica risulta alleggerito dalle due esedre sui due opposti fronti: quella dove si trova la scalea monumentale e l’altra che accoglie, invece, la grande terrazza balaustrata, aperta sulla veduta del mare di Aspra, che collegava tutti i saloni da ricevimento del piano nobile. A quest’ultimo si accedeva da un altro ampio salone in funzione di disimpegno con altri  grandi ambienti quadrati coperti per lo più da volte a padiglione collegati, che venivano usati per rappresentanza e per il soggiorno. I pavimenti in origine erano in maiolica smaltata e figurata, sostituiti nel corso del tempo con altri in mattoncini policromi di fattura ottocentesca, che si conservano in alcuni ambienti. A destra del vano centrale venne ricavata una scala che conduceva al piano superiore, destinato ai cadetti della famiglia. Gli ambienti avevano la stessa disposizione di quelli sottostanti ma sono di dimensioni inferiori.

Morto il principe Francesco Bonanno nel 1739, i lavori furono completati dal figlio, Don Giuseppe Bonanno e Filangeri: sul portale del piano nobile campeggia la copia dello stemma familiare (quello originale, dopo i danni riportati dal suo distaccamento, è stato restaurato e posto sul parterre), che presenta le armi inquartate dei Filangeri (una croce d’argento caricata da nove campane), accostate al gatto nero passante, simbolo della famiglia Bonanno e decorato col collare del Toson d’Oro.

Dai documenti di archivio non emerge il nome dell’architetto progettista ma non è da escludere l’intervento dell’architetto Giacomo Amata il quale, insieme al Mariani aveva lavorato fino al 1732 nelle fabbriche del palazzo Cattolica di Palermo o di Orazio Furetto (progettista dell’Albergo delle Povere di Palermo, che per quasi vent’anni aveva lavorato al servizio dei principi.

Nel 1765, in occasione del matrimonio fra l’erede Francesco Antonio Bonanno e Borromei duca di Montalbano con Caterina Branciforte, figlia del principe di Butera, la villa fu rimessa a nuovo, con nuovo arredamento e nuovi addobbi. Dopo circa dieci anni le condizioni economiche – molto precarie perché Don Francesco aveva ereditato dal padre anche ingenti debiti – nonché le vicissitudini politiche maturate con il nuovo secolo decretarono il tramonto del nobile casato. La linea maschile si estinse con Don Giuseppe Bonanno e Branciforte, ultimo principe della Cattolica, che fu ucciso dal popolo bagherese nella rivolta del 1820, esplosa a Palermo.

Dopo questi avvenimenti la Villa divenne prima caserma militare e poi lazzaretto ai tempi del colera del 1850. Durante queste fasi la villa subì diversi danneggiamenti. In seguito fu acquistata da un commerciante di conserve alimentari, Gioacchino Scaduto, che destinò i corpi bassi ad industria conserviera di pomodori in scatola. Questi commissionò il restauro del piano nobile: a questi interventi risale la realizzazione di alcuni medaglioni paesaggistici a carattere oleografico, che ornano la volta del salone principale. In uno è rappresentata, per esempio, Villa Cattolica alla fine del XIX secolo ed in un altro piazza Matrice con la visione prospettica del Duomo e di Corso Butera.

A metà degli anni Cinquanta la villa attraversò uno dei momenti più difficili della sua storia: fortemente degradata ed usata come magazzino di limoni. Nonostante tutto l’antica chiesetta, che si trova sul limite della corte, continuò ad essere usata: nel frattempo era stata dedicata a Santa Rosalia e conservava ancora gli arredi liturgici del tempo dei principi ed il grande stemma in pietra dei Bonanno di Cattolica.

In quegli stessi anni avvenne la scomparsa del giardino, che si pensa arrivasse fino al Corso Butera, per via dell’espansione urbanistica. Nei pressi della Villa venne impiantata un’industria per la lavorazione del cemento

Nel 1988 il Comune di Bagheria ha acquistato il complesso di Villa Cattolica e dopo, a seguito di un importante restauro, è stata riaperta alla fruizione pubblica come Museo di Arte contemporanea, grazie ad una cospicua donazione di opere da parte del maestro Renato Guttuso.