I Palici

di Ignazio Caloggero

 

I laghi dei Palici in un acquerello del Settecento

Pagina di riferimento: Repertorio dei Culti e dei Miti

 Origini del Mito

Anche il culto dei Palici è da attribuirsi, probabilmente, al periodo siculo. Si trattava di due gemelli che possono essere considerati come la personificazione di due sorgenti solforoso-termali il cui sito è quello del laghetto di Naftia, presso Palagonia (località in provincia di Catania). Tali fenomeni sono ora cessati, ma furono ampiamente descritti dagli storici, Diodoro Siculo [lib. XI 89], Tommaso Fazello [Storia di Sicilia. (prima deca, libro 3, capitolo secondo)] e Adolfo Holm [Storia della Sicilia nella antichità. vol. I pag. 170].

È probabile che, prima che il mito nascesse dalla fertile fantasia greca, la genealogia più semplice considera i Palici, figli del dio siculo Adrano e della ninfa Etna. Il tentativo, da parte di scrittori greci e romani, di trovare collegamenti e parentele con le divinità nazionali ha fatto sì che prima, la paternità fosse attribuita ad Efesto, il dio dei Vulcani, poi, in una successiva rielaborazione, a Zeus (il Giove romano). Quest’ultimo, tradendo la moglie Era, ebbe una relazione con la ninfa Talia. La ninfa, rimasta incinta e conoscendo di cosa sarebbe stata capace la vendicativa Era, decise di chiedere aiuto a Zeus che la nascose sottoterra, dove, arrivata l’ora del parto, nacquero i due gemelli.

I Palici furono paragonati ai Dioscuri (nome comune di Castore e Polluce, anch’essi figli di Zeus), ma anche ai Cabiri di Samotracia. Questo forse perché alcuni greci consideravano sia i Palici che i Cabri, figli di Efesto [Ciaceri Emanuele: Culti e Miti dell’Antica Sicilia p. 27] (il dio Vulcano dei Latini), la divinità che aveva il suo sito all’interno dei vulcani; e vulcanici sono infatti i crateri che hanno dato origine al culto dei Palici. Gli stessi Dioscuri sono stati identificati con i Cabiri che erano divinità del popolo dei Pelasgi, i quali ne diffusero il culto nell’isola di Samotracia. Poiché i Dioscuri erano considerati protettori della navigazione, l’associazione dei Palici con i Dioscuri fece sì che anche i primi fossero chiamati “dei navigatori” e fossero, quindi, elevati al ruolo di protettori della navigazione.

Nota: Con il termine Pelasgi gli antichi indicavano le popolazioni preindoeuropee che abitarono la Grecia prima degli elleni e che si sarebbero diffuse in tutta la Grecia, in Asia Minore e probabilmente anche nell’Italia meridionale.

 Nei pressi del laghetto di Naftia nacque ben presto un santuario, considerato tra i più antichi e venerati della Sicilia dove si prestavano solenni giuramenti.

Secondo la leggenda, lo spergiuro veniva punito dagli dei, con la cecità, o fiamme improvvise lo avvolgevano e lo riducevano in cenere alla presenza di tutti.

È noto come ancora oggi, in alcune parti del meridione (e non solo), si invochi, in caso di spergiuro, la “perdita della vista degli occhi”. Secondo alcuni il rito consisteva nello scrivere il giuramento su una tavoletta che poi veniva gettata nel lago. Se la tavoletta avesse galleggiato il giuramento sarebbe stato vero altrimenti si era alla presenza di uno spergiuro.

È probabile che la leggenda nasconda il ricordo di antichi sacrifici umani che, come afferma l’Holm, nel corso dei secoli si sono mitigati, sostituendosi l’accecamento all’uccisione [Adolfo Holm: Storia della Sicilia nella antichità. vol. I pag. 171].

L’acqua del “lacus ebullientes” ed il fatto che i Palici sono considerate divinità sotterranee, hanno contribuito all’affermazione, così come avviene per la grotta di Lillibeo (Marsala), della credenza che il santuario fosse sede di un oracolo. Si narra che, in occasione di una carestia, l’oracolo dei Palici suggerì ai Siculi di compiere dei sacrifici in onore di un eroe siculo (Pediocrates). Terminata la carestia, i siculi “raccolsero sull’altare dei Palici ogni genere di biade” [Ciaceri Emanuele: Culti e Miti dell’Antica Sicilia p. 32 (citando Macrobio V.19,22 e 19,30) Quest’ultimo particolare mette in relazione il culto dei Palici con quello di un eroe siculo]. Di un altare dei Palici, ricco di doni, situato in un bosco in riva al Simeto, parla, anche, Virgilio (Eneide Lib. IX, 845 e seg.).

Così com’è avvenuto per altre divinità pagane legate al sottosuolo, l’avvento del Cristianesimo ha favorito la nascita di leggende in cui i demoni hanno preso il posto dei Palici. Pitrè nel suo, “Spettacoli e Feste”, parlando di Sant’Agrippina, narra di un luogo, a due miglia da Mineo, sede di demoni sotterranei che fuggono alla vista del corpo della Santa. Un collegamento diretto con i Dioscuri, e quindi con i Palici, deriverebbe dal fatto che, nello stesso racconto, si dice che i demoni in questione erano stati, in precedenza, scacciati da S. Paolo dal corpo della figliola di Dioscoro [Giuseppe Pitrè: Spettacoli e feste popolari siciliane p. 284]. Il posto era chiamato Lamia, dal nome di una fattucchiera che operava nella zona; questo particolare, unito al fatto che il lago era anche chiamato Donna Fetia, potrebbe far pensare, come afferma Holm [Storia della Sicilia nell’Antichità p. 170], che il culto dei Palici venisse sostituito da quello di una fata. È probabile, invece, come afferma Biagio Pace [Arte e Civiltà della Sicilia Antica.  Vol. III p. 525.], che il nome sia di derivazione araba, infatti “ayn” in arabo significa “fonte”, tradotto in seguito in “donna”.

Presso questo santuario, verso il V secolo a.C., il re siculo Ducezio chiamò le popolazioni sicule, raccolte in confederazione, alla rivolta contro i greci di Sicilia fondando, nei pressi del santuario, la città di Palikè. Dopo la sconfitta subita da Ducezio, la città fu presto abbandonata ma il santuario conservò la sua importanza, anche per la protezione che offriva a chi vi si rifugiava (qualcosa di simile è avvenuto per secoli in chiese e conventi che hanno costituito un sacro asilo per chi lo avesse chiesto). Tale protezione fu molto apprezzata dagli schiavi fuggiaschi durante il periodo delle guerre servili, al punto che, in seguito, i Palici furono considerati protettori degli schiavi.

I resti della città di Palikè e del santuario dei Palici dovevano essere chiaramente visibili al tempo del Fazello che, a riguardo scrisse:

“Oggi nello stesso colle ne sussistono i resti, che tuttavia sono compresi in un’area non grande, nonché attorno al lago, molte parti dello stesso tempio, in gran parte distrutte”. [Storia di Sicilia. (prima deca, libro 3, capitolo secondo.]

Il colle indicato dal Fazello, è situato su una collinetta chiamata “la Rocchicella”, dove sono stati rinvenuti resti di abitazioni e ceramiche che vanno dall’età del bronzo al VII sec. a.C. È stata trovata anche una scala intagliata sulla roccia che collega la sommità della collinetta con una grotta naturale che è posizionata alla sua estremità. Davanti alla grotta sono stati trovati i resti di un edificio identificabile, con ogni probabilità, con l’antico santuario che, sulla base del materiale scoperto, sembra sia stato frequentato sino all’età imperiale.

Il Mito nel Registro LIM della Regione Sicilia

La Regione Sicilia ha inserito il Mito dei Palici nel registro LIM (Luoghi dell’identità e della Memoria) – Luoghi degli dei e divinità minori. Il luogo individuato nella scheda registro è il Lago di Naftia (Mineo, Prov. Catania)

Estratto dal Libro ” Culti dell’Antica Sicilia” di Ignazio Caloggero ISBN: 9788832060102 © 2022 Centro Studi Helios srl

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