Saperi della Civiltà Mineraria: Lercara Friddi
Descrizione

Saperi della Civiltà Mineraria – Lercara Friddi

Bene inserito nel Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia (REIS)

Il riconoscimento del bene “Saperi della Civiltà Mineraria” – Libro dei Saperi – , riguarda quattro ambiti territoriali:

Provincia di Agrigento (scheda tecnica con n. progr. 7)

Provincia di Caltanissetta  (scheda tecnica con n. progr. 8)

Provincia di Enna (scheda tecnica con n. progr. 11)

Comune di Lercara Friddi (PA) (scheda tecnica con n. progr. 53)

Il Bene può essere messo in correlazione con il Bene “Detentori dei Saperi della Civiltà Mineraria” – Libro dei tesori  umani viventi che riguarda “I surfatari” della Provincia di Caltanissetta (scheda n. 10) e quelli della provincia di Enna (scheda n. 12)

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Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana 

 
Registro Eredità Immateriali
N. Prog.53
Bene:Saperi della Civiltà Mineraria
Libro:REI – Libro dei saperi
Data approvazione:27-06-2006
Categoria:Saperi
Provincia:Palermo
 
Comune
Lercara Friddi
Denominazione locale
 
Notizie Cronologiche
La civiltà mineraria nella cittadina di Lercara Friddi si è sviluppata a seguito del ritrovamento di una ricca vena zolfiera nel 1828, generando un processo di sviluppo economico e culturale che ha portato con sé anche sfruttamento e sciagure umane.
Da un processo di sviluppo iniziato nella prima metà dell’Ottocento la crisi del settore minerario, che investì la Sicilia intorno agli anni ’60 del Novecento, generò per la cittadina palermitana una profonda emergenza occupazionale.
Ricorrenza
Data
 
Occasione
 
Funzione
 
Attori
 
Partecipanti
 
Descrizione
Fulcro della storia, soprattutto economica, di Lercara Friddi è la scoperta dei giacimenti di zolfo, unici nella provincia di Palermo.
I lavoratori del sottosuolo, picconieri adulti o carusi, sostenevano ritmi disumani caratterizzati da turni di lavoro a ciclo continuo di otto ore rinchiusi in spazi angusti, male illuminati e scarsamente arieggiati, dove l’umido, le alte temperature e le impurità nuocevano alla loro salute.
L’estrazione del minerale veniva fatta manualmente dai picconieri e il materiale veniva trasportato a spalla. Dal 1800 in poi per il trasporto venne utilizzato un ascensore che non solo conduceva nei meandri della grotta i minatori ma portava in superficie lo zolfo che veniva poi depositato in carrelli e condotto alla lavorazione.
Il minerale sulfureo veniva fuso per eliminarne le impurità e colato in stampi. Il proseguire del sapere nella tecnica di lavorazione dello zolfo portò a un cambiamento delle stesse. In origine veniva usato un tipo di forno chiamato calcarone che liberava, tuttavia, esalazioni dannose non solo per le culture, ma soprattutto per la salute dei lavoratori. Metodo, questo, ben presto proibito e sostituito dalla macchina Duvand che tuttavia non riuscì a eliminare del tutto l’anidride solforosa. Nello specifico la tecnica del calcarone fu messa a punto nel 1851 e fu caratterizzata dal netto aumento del rendimento. La costruzione del calcarone richiedeva poche cautele: bastava individuare una porzione di terreno ben riparata dai venti, poco distante dagli ingressi di pozzi e calate, possibilmente non in corrispondenza del sottosuolo. Su un’area di forma circolare con una certa pendenza si tracciava il recinto, la parete esterna che individuava forma e caratteristiche di questa sorta di grande forno senza copertura. In corrispondenza del punto più basso, si trovava la “morte”, ossia il luogo di comunicazione tra l’interno del forno e l’esterno durante tutte le fasi di fusione. La costruzione doveva essere ben eseguita per non permettere all’aria di entrare e provocare involontariamente l’accensione dello zolfo.
Il principio di base è quello di una fusione alimentata, fatta eccezione per una breve fase iniziale, dalla combustione dello zolfo. L’operaio addetto alla gestione del calcarone, “arditore”, provvedeva all’accensione con frasche impregnate di zolfo che venivano inserite in punti caratteristici del calcarone stesso, dove iniziava una lenta fusione. Questa poteva durate anche 20-30 giorni. Seguiva quindi la seconda fase, quella della produzione, quando, forato con un ferro rovente lo sportello della morte, iniziava a fuoriuscire il minerale liquido, riversandosi in forme a tronco di piramide con una capacità di 75 Kg. Il contenuto delle forme, solidificato in “pani” (o “balate” in termine dialettale), andava accatastato in attesa di essere trasportato nel luogo di smercio o di imbarco.
 
Confronta schede:
SCHEDA N.7 “Saperi della Civiltà Mineraria”
SCHEDA N.8 “Saperi della Civiltà Mineraria”
SCHEDA N.11 “Saperi della Civiltà Mineraria”
Bibliografia
Addamo, Sebastiano. 1989. Zolfare di Sicilia. Palermo: Sellerio.
 
Caruso, Danilo e Corrado, Pirrello, a cura di. 2008. Miniere di Lercara Friddi. Lercara Friddi: Associazione cocio-culturale Cartastampata.
 
Renda, Francesco. 1987. La Sicilia degli anni ’50: studi e testimonianze. Napoli: Guida.
 
Zanna, Gianfranco, a cura di. 2010. Memoria, Bellezza e futuro delle zolfare siciliane. Palemo: Luxograph.
Sitografia
 
Filmografia
 
Discografia
 
Note
Nel 1874 fu istituita una commissione d’inchiesta da parte del ministro dell’Industria per indagare sulle condizioni di lavoro dei minatori di Larcara Friddi. Dall’indagine ne emerse una situazione allarmante dal punto di vista delle condizioni di lavoro e di disumano sfruttamento dei minori che venivano acquistati dalle famiglie, alimentando una vera e propria tratta di schiavi.
L’inchiesta si concluse proponendo un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei lavoratori, il divieto di assumere donne e il divieto di ingaggiare lavoratori di età inferiore a dodici anni, proponendo particolari tutele per quelli di età compresa tra i dodici e i ventuno anni.
In questa campagna di sensibilizzazione si distinse la figura del medico lercarese Alfonso Giordano che riuscì a curare una forma anemica parassitaria da cui erano affetti i minatori: l’anchilostomiasi.
Autore Scheda
Francesca Maria Riccobene
 

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Luogo
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