Paesaggio di Pietra (Muretti a secco)
Territorio: Iblei
Approvato il 25/01/2006
Inserimento scheda: Heritage Sicilia
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Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana
Macere (accumuli disordinati); Muri rricoti o acquintati, manniri, cuccumeddi (muri a due facce, mandrie, lunette – accumuli a sviluppo lineare); muragghi (muri, terrazzamenti, torri – accumuli strutturati)
La tecnica di costruzione in pietra a secco affonda le sue radici nella preistoria: le prime notizie di terrazzamenti in pietra, in area mediorientale, risalgono a circa 8000 anni fa.
Con la colonizzazione greca – fra il X e il V secolo a.C. – la tecnica di costruzione di muretti a secco, usati per delimitare e proteggere piccoli appezzamenti agricoli, si diffonde nel bacino del Mediterraneo. Nella Sicilia sud-orientale, una delle testimonianze più antiche di questa tecnica è data dalla fortificazione del Monte Finocchito, nel territorio di Noto (SR). Notizie della presenza dei muri a secco in Sicilia si trovano nel De re rustica di Varrone.
È probabile che manufatti costruiti con questa tecnica delimitassero gli agrumeti, sotto la dominazione araba, e all’XI – XII secolo risalgono i primi muretti utilizzati per ridurre le pendenze collinari, difendere il suolo dal dilavamento e rendere più agevole la coltivazione dei terreni.
Durante la dominazione spagnola, Pietro IV D’Aragona, acquisito il controllo della Sicilia, impone qui le norme già emanate in Catalogna fra il 1345 e il 1373, che prevedevano un’altezza dei muretti limitata a un metro e 20 centimetri (seis palmos) e ne vietavano la costruzione ove questi impedissero l’accesso al mare.
L’introduzione dell’enfiteusi, nel ‘600, implicando l’obbligo di recinzione delle terre assegnate, provoca una vasta campagna di spietramento delle campagne e di costruzione di muretti a secco che influirà pesantemente sul paesaggio siciliano.
Un ulteriore impulso al recupero di terreni incolti, con l’elevazione di manufatti realizzati in pietra a secco, si ha durante il ventennio fascista e, successivamente, in conseguenza della Riforma Agraria, varata dal Governo De Gasperi nel 1950.
Oggi, l’architettura in pietra a secco, che versa spesso in condizioni critiche conseguenti all’abbandono delle terre, al pascolo abusivo, agli incendi, al disinteresse delle amministrazioni locali, è oggetto di tutela in base al Codice Urbani, e molte sono le iniziative mirate al suo recupero.
Braccianti, contadini, murassiccari (artigiani specializzati)
Comunemente, si parla di “muratura a secco” con riferimento all’assemblaggio, in luoghi non coincidenti con il sito estrattivo, di materiali lapidei prelevati da una cava, senza uso di malte. Nel caso del bene in questione, l’assemblaggio e l’edificazione hanno luogo con materiali lapidei reperiti e raccolti in loco, anche con lo scopo di liberare il terreno da coltivare.
Oltre agli accumuli non ordinati, i manufatti realizzati includono muri, recinti, lunette, torri e terrazzamenti, rifugi, capanni, case e neviere, scale.
I locali adibiti a ricovero hanno, per lo più, pavimenti in terra battuta e possono contenere nicchie e mangiatoie. Sono di solito a pianta circolare, più raramente quadra, e sovrastati da architravi, da archi e da cupole o coperture di forma ogivale, conica, decadente o a gradoni.
Per la selezione e preparazione dei materiali lapidei e per la edificazione dei manufatti, vengono utilizzati attrezzi quali mazze, picconi (fesi), picconi a punta, cunei (cugni), biette (lanni), martelli (liffiaturi, martieddi a testa) lenze, dime etc. (Tiralongo, 2007)
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