Miniera di zolfo Floristella e Grottacalda
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Descrizione

Miniera di zolfo Floristella e Grottacalda

l luogo è inserito nel registro LIM della Regione Sicilia (I Luoghi storici del Lavoro)  – Settore “Luoghi “archeologizzati“ di estrazione, raccolta, produzione” – “Geositi archeologizzati”

Descrizione

Il parco minerario di Floristella-Grottacalda è un parco minerario siciliano, che si estende su una vasta area situata sulla confluenza delle superstrade che collegano Enna, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe e Aidone. È uno dei più importanti esempi di archeologia industriale del Mezzogiorno ed è gestito dall’omonimo ente parco, istituito con legge della Regione siciliana nel 1991[1]. Tutta l’area di 400 ettari è sottoposta ai vincoli di tutela ambientale.

Le grandi miniere di zolfo di Floristella e Grottacalda, insieme alle altre più piccole della provincia di Enna, a partire dalla fine del Settecento sono state fonte di ricchezza economica di rilevanza europea, anche se spesso a prezzo di disumano sfruttamento degli operai. La miniera difatti, seppur tutt’oggi caratterizzata da una singolare bellezza, ricorda che la storia dei minatori è la storia di uomini che hanno affrontato per secoli fatiche disumane e umiliazioni inimmaginabili, e che tutto fa parte della storia siciliana.

Fino alla prima metà dell’Ottocento l’attività estrattiva era basata sul duro lavoro manuale di migliaia di scavatori, anche bambini di 6 anni, che sopportavano le tremende condizioni di lavoro in cambio di una misera paga. Luigi Pirandello illustrò tale realtà nella sua novella Ciaula scopre la luna.

Le condizioni di lavoro dei minatori migliorarono in seguito con l’evoluzione dei processi estrattivi e con l’uso delle mine. In tale contesto, Agostino Pennisi barone di Floristella, iniziò a dare un volto imprenditoriale al processo di estrazione e lavorazione dello zolfo e fece erigere un pregevole palazzo, ancor esistente, che utilizzò come dimora di famiglia e come luogo di ricerca e sperimentazione.

Le miniere di zolfo cominciarono ad entrare in crisi a partire dagli anni trenta, quando furono date in gabella, anche se conobbero un rilancio a causa del secondo conflitto mondiale, e lo restarono fino al 1963. Alla fine degli anni ’60 furono acquisite dalla Regione, attraverso l’Ente minerario siciliano. L’ultimo dei tre pozzi verticali fu aperto negli anni ’70.[2]

L’attività estrattiva però cessò definitivamente la produzione nel 1986[3]

Seguì un lungo periodo di abbandono di tutte le strutture fino alla soglia degli anni novanta. L’area del complesso minerario era inoltre interamente attraversata dalla ferrovia Dittaino-Piazza Armerina-Caltagirone che vi aveva diverse stazioni; questa venne chiusa e rapidamente smantellata all’inizio degli anni 70.

La nascita dell’Ente Parco Minerario Floristella – Grottacalda venne stipulata dall’articolo 6 della legge regionale n. 17 del 1991, che per le sue attività si avvaleva di personale dell’ex Ente minerario siciliano e del Corpo forestale della Regione siciliana. Il Parco Minerario, che si estende su un’area di 400 ettari, accorpa le due omonime miniere di zolfo dismesse, risultando uno dei più espressivi insediamenti d’archeologia industriale esistenti nel sud d’Italia.

Nel 1992 il regista Aurelio Grimaldi, gira ed ambienta il film La discesa di Aclà a Floristella nella miniera.

Le miniere

Floristella

Il permesso di apertura della miniera di Floristella, nell’area di Valguarnera, fu concesso l’11 aprile 1825 sebbene l’estrazione dello zolfo avvenisse anche prima, in seguito alla scoperta, nel 1791, del metodo Leblanc di fabbricazione della soda ottenuta trattando con acido solforico il comune sale. Lo zolfo siciliano, abbondante in superficie e conosciuto sin dai tempi antichi, venne così richiesto in grandi quantità nei circuiti internazionali.

La miniera di Floristella conserva il paesaggio tipico. Gallerie e pozzi semiverticali sono presenti e visibili; da questi lo zolfo staccato a colpi di piccone era trasportato fino ai calcaroni posti in prossimità delle uscite di pozzi e gallerie. La visione delle vecchie attrezzature evoca l’immagine del durissimo lavoro e l’amara realtà dello sfruttamento del lavoro dei cosiddetti carusi, adolescenti e perfino bambini di 6 anni, che per poche manciate di soldi venivano ceduti dalle famiglie ai picconieri e utilizzati da questi per il trasporto a spalla in superficie il minerale di zolfo.

Grottacalda

La miniera di Grottacalda durante la sua attività ospitava un gran numero di minatori. Ne sono testimonianza i ruderi dei caseggiati e delle officine e capannoni necessari all’attività mineraria, ancora visibili nel sito.

Della parte ipogeica della miniera sopravvivono tantissime bocche di pozzi di aerazione e di piani inclinati per le più primitive vie di accesso ed anche con i più moderni ascensori verticali azionati mediante gli argani elettrici o a vapore muniti di grandi strutture in legno e metallo.

Fanno da corollario alla zona mineraria, la masseria Roba Grande, un vero e proprio villaggio con corte al centro e cappella e la dismessa stazione ferroviaria di Grottacalda della linea Dittaino-Piazza Armerina.

Fonte : Wikipedia

Inserimento scheda: Ignazio Caloggero

Foto: Di Eugenio Interguglielmi (1850-1911). – Scansione personale, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7296438

Contributi informativi:  Regione Sicilia

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