Maria Costa: Poetessa Popolare
Descrizione

Maria Costa: Poetessa Popolare

Nata e vissuta nel rione della Case Basse di Paradiso, nelle sue poesie in dialetto messinese custodì e cantò la memoria collettiva della città dello Stretto distrutta da un catastrofico terremoto nel 1908.

I suoi versi sono raccolti in diversi volumi tra i quali Farfalle serali (1978), Mosaico (1980), ‘A prova ‘ill’ovu (1989) e Cavaddu ‘i coppi (1993).

Il poeta Giuseppe Cavarra fu tra i primi a capire l’importanza della sua poesia: «In Maria Costa – scrive Giuseppe Cavarra – la poesia nasce come bisogno di estrinsecare la propria esperienza, perché sia di giovamento a tutti lungo la strada comune, come modo di rivivere con sofferenza il dolore degli uomini. Una scrittura poetica la sua come apertura al dialogo, come fiducia nella forza della parola che scava in profondità senza infingimenti o compiacimenti. Ciò fa sì che nella poetessa di Case basse la parola poetica si faccia di volta in volta senso ritrovato di un’umanità che non conosce limiti, partecipazione sofferta e silenziosa alle ragioni degli altri».

Muore a Messina il 7 settembre 2016.

A lei sono stati dedicati servizi e interviste di numerosi media e reti televisive nazionali e straniere (Francia e Russia), e tesi di laurea elaborate nelle università di Palermo, Messina, Udine, Catania e Siena.

Dopo la sua morte, la sua abitazione in Via Case Basse è diventata una Casa Museo ed è sede del Centro Studi Maria Costa. Il centro studi promuove iniziative a sostegno della poesia popolare e di impegno civile. (Fonte: Wikpedia)

 

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Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana

ASSENTE

 
55
Maria Costa: Poetessa Popolare
REI – Libro dei tesori umani viventi
20-09-2006
Tesoro umano vivente
Messina
 
Messina
 
Maria Costa nasce il 15 dicembre 1926 a Messina, nel rione di Case Basse di Paradiso, piccolo borgo marinaro, un tempo fiorente, posto sul litorale della città. Vive da sola nella casa di famiglia, di fronte al mare e alla costa calabra, dove è nata e cresciuta; la costruzione risale al 1890, ed è rimasta intatta nonostante il terremoto del 1908 e i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Una casa che è come uno scrigno in cui si custodiscono i ricordi e le storie narrate attorno al braciere, nelle fredde sere d’inverno, ai suoi otto figli da un padre, Don Placido, marinaio colto, con la passione per la poesia dialettale, ereditata dalla piccola Maria. E’ tratteggiando il profilo di Don Placido che si può comprendere a pieno l’arte della poetessa Maria Costa: era un uomo che amava parlare in rima e snocciolare aneddoti, l’enciclopedia vivente di casa, un marinaio che portava a casa la memoria delle sue avventure che aveva un ruolo importante anche all’interno del borgo, memorabili le sue “consulenze” chiamato a rispondere per i motivi più disparati, chi chiedeva del tempo, chi per il varo di una barca o semplicemente per sapere se fosse il caso di stendere la biancheria ad asciugare, Don Placido aveva per tutti una risposta in rima arricchita da proverbi e pillole di saggezza popolare. Se Maria Costa oggi è riconosciuta per il suo genio e la sua arte lo deve proprio all’illuminato genitore che le diceva sempre “Maria non perdere mai la voglia che hai di scrivere”. Ma in quegli anni un futuro scolastico che andasse oltre la licenza elementare era impensabile aggravato dalla scomparsa della madre e la necessità di accudire i suoi sette fratelli, così Maria dovette abbandonare gli studi ma la sua passione rimase intatta e dall’età di 13 anni inizia a scrivere versi in un siciliano sapiente, colto, stracolmo di contenuti. Da allora questa straordinaria custode del patrimonio fiabistico, mitologico e letterario messinese è divenuta punto di riferimento per linguisti, antropologi, studiosi di tradizioni marinare, dialettologi, storici della letteratura popolare.
 
 
Poetessa popolare
 
 
Maria Costa è attualmente la maggiore poetessa dialettale conosciuta nel panorama siciliano e calabrese. Da molti anni pubblica libri di poesie, racconti, miti, leggende e storie di vita vissuta che fanno parte di quel patrimonio di cui conserva memoria nei quali rivive lo spirito della cultura tradizionale messinese nelle sue più genuine declinazioni lessicali, antropologiche ed espressive. Il dialetto della sua gente è lo strumento che le consente di accostarsi alle radici dell’esperienza umana e di trasmetterne l’essenza senza disperdersi. La Messina di Maria Costa è una realtà calata in una trama di umori, credenze, usi dai connotati inconfondibili, a lei interessa la realtà degli esigui orizzonti entro i quali i protagonisti della “piccola storia” consumano la loro esistenza. Nei suoi scritti non c’è nulla di intellettualistico o astratto.
Vero e proprio archivio vivente della memoria storica peloritana, Maria Costa è molto conosciuta e apprezzata anche fuori dalla Sicilia per le apparizioni in numerosi festival di poesia, spettacoli teatrali e manifestazioni culturali di varia natura in cui ha modo di esibire le sue straordinarie doti di affabulatrice ed interprete. La sua opera è stato anche oggetto di tesi di laurea nelle università di Messina, Catania, Palermo, Udine e Siena.
La poetessa attinge la sua ispirazione artistica dal mare, dal cielo e dalla natura per scrivere intense rime in vernacolo. Conosciuta come la “poetessa dello Stretto” o la “voce del mare”, è depositaria di miti, leggende e racconti che si sono tramandati oralmente di padre in figlio e che lei mette in rima seduta al tavolo nella sua casa davanti al mare. Questo braccio di mare è per lei rifugio e fonte di ispirazione: “il mare è un connubio, un conforto…il mare per me è tutto…fonte di ispirazione in continuazione, non so cos’è, è più forte di me, capisco che è qualcosa che si piglia gioco di me e a me non resta che ubbidire e scrivere, io che colpa ne ho”. Per lei il mare è molte cose messe insieme: paesaggio che da il senso dell’esistenza, scrigno che custodisce le vicende del tempo, mistero a cui gli uomini dello Stretto affidano le loro ansie e le loro speranze, e la figura del pescatore rappresenta l’umano che sfida le forze della natura per assoggettarle alla sua ragione di vita.
Le sue principali raccolte sono: Farfalle serali (1978), Mosaico (1980), ‘A prova ill’ovu (1989), Cavaddu ‘i coppi (1993), Scinnenti e Muntanti (2003), Ventu cavaleri (2005), Abbiru maistru (2013).
 
 
 
 
Il mito di Colapisci, eroe mitico, emblema della città di Messina e di tutta la Sicilia, raccontato dalla poetessa Maria Costa:
 
So matri lu chiamava: Colapisci!
sempri a mari, a mari, scura e brisci,
ciata ‘u sciroccu, zottiati sferra,
o Piscicola miu trasi ntera!
Iddu sciddicava comu anghidda
siguennu ‘u sò distinu, la sò stidda.
Annava fora, facia lagghi giri,
e Canzirri, ‘o Faru e Petri Niri.
Un ghionnu sò maistà ‘u vinni a sapiri,
e si pprisintau a iddu cù stu diri:
Iò sacciu chi si l’incantu da’ rivera
e di lu Faru potti la bannera,
scinni ‘o funnu a metri, passi e milia
e dimmi com’è cumposta la Sigilìa,
sè supra rocchi, massi o mammurina
e qual’è la posa di la tò Missina.
Ie Colapisci, figghiolu abbidienti
mpizzau ‘o funnu, rittu tempu nenti.
‘U Re facìa: 
chi beddu asimplari
e figghiu a Cariddi e non si nigari.
Sulligitu nchianau Colapisci
comu murina chi so’ canni lisci,
dicennu: 
“maistà ‘a bedda Missina
vessu punenti pari chi ssi ‘ncrina.
Sù tri culonni cà tenunu mpedi,
una è rutta, una è sana e l’autra cedi.
Ma ‘u Re tistazza ‘i gemmanisi
‘u rimannau pi’ n’autri centu stisi.
Iddu ssummau e ci dissi: 
Maistà
è tutta focu ‘a basi dà cità.
‘U Re ‘llampau e ‘n ‘coppu i maretta
‘i sgarru ci sfilau la vigghetta.
Giovi, Nettunu, dissi a vuci china,
quantu fu latra sta ributtatina.
Oh Colapisci, scinni lupu ‘i mari
e vidi si mi la poi tu truvari!
Era cumprimentu dà rigina,
l’haiu a malaggurio e ruina.
E Colapisci, nuncenti, figghiu miu,
‘a facci sa fici ianca dù spirìu
dicennu: 
Maistà gran dignitari
mi raccumannu sulu ‘o Diu dù mari.

e tempu nenti fici a gira e vota
scutuliau a cuta e a lena sciota
tagghiau ‘i centru e centru a testa sutta
e si ‘ndirizzau pà culonna rutta.
Ciccava Colapisci ‘i tutti i lati
cu di mani russi Lazzariati,
ciccau comu potti ‘ntò funnali
ma i boddira ‘nchianavanu ‘ncanali.
‘U mari avia ‘a facci ‘i viddi ramu
e allura ‘u Re ci fici ‘stu richiamu:
Colapisci chi fai, dimurasti?
e a vint’una i cavaddi foru all’asti.
E Cola cecca e cecca ‘ntà lu strittu
‘st ‘aneddu fattu, ‘ntà l’anticu Agittu.
Sò matri, mischinedda ancora ‘u chiama
cà mani a janga e ‘ncori ‘na lama.
Ma Colapisci cecca e cicchirà
st’aneddu d’oru pi l’atennità.
Maria Rosaria Paterno’
 
 
 

Inserimento scheda web: Ignazio Caloggero

Foto:  

Contributi informativi: Ignazio Caloggero/ Web

Nota: Il popolamento delle schede della Banca dati Heritage, procede per fasi incrementali: catalogazione, georeferenziazione, inserimento informazioni e immagini. Il bene culturale in oggetto è stato catalogato, georeferenziato ed inserite le prime informazioni. Al fine di arricchirne i contenuti informativi sono graditi ulteriori contributi, se lo desiderate potete contribuire attraverso la nostra area “I Vostri Contributi

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