Festino di Santa Rosalia
l Festino di Santa Rosalia (u fistinu in siciliano) si svolge nel mese di luglio a Palermo. È una delle celebrazioni religiose siciliane ad essere ufficialmente riconosciuta come patrimonio immateriale d’Italia dall’Istituto centrale per la demoetnoantropologia (IDEA), ente istituito con decreto del presidente della Repubblica del 26 novembre 2007 n. 233
(La Festa liturgica invece si svolge il 4 di settembre e si festeggia al Santuario di Santa Rosalia sul Monte Pellegrino a Palermo, dove la Santa morì nel 1170 all’interno della grotta).
La nascita del Festino di Santa Rosalia
Nell’anno 1624 il viceré di Sicilia, Emanuele Filiberto di Savoia, residente a Palermo, fece entrare nel porto cittadino un vascello proveniente da Tunisi e guidato da Maometto Calavà, moro tunisino, sospetto di peste, contenente innumerevoli doni, ricchi e preziosi, e schiavi cristiani liberati. Il morbo si diffuse così tra i topi, nei mercati, nelle aree periferiche ed infine nel centro cittadino. La popolazione, martoriata dalla peste, continuava ad ammalarsi e a morire e si affidava invano alle sante protettrici della città e dei quattro mandamenti cittadini: sant’Agata, santa Cristina, sant’Oliva e santa Ninfa. (Anche santa Lucia era patrona della città, ma non aveva assegnato nessun mandamento). Non si ottenne però nessun miracolo.
Girolama La Gattuta, donna ciminnese di 47 anni, ricamatrice, era inferma di forte febbre maligna all’Ospedale Grande di Palermo. Il 15 di ottobre del 1623, mentre era sofferente, “vide” una monaca vestita di bianco che attirava dei fulmini dietro di se. Le toccò la bocca e subito si sentì “riempita d’acqua”. Era santa Rosalia, che disse alla donna di andare sul Monte Pellegrino ad adempiere ad un voto.
Girolama guarì miracolosamente dopo tre giorni, ma non andò sul Monte Pellegrino e non fece il suo voto; così si ammalò nuovamente di malaria. Il 26 di maggio del 1624, giorno di Pentecoste, Girolama, inferma, salì sul Monte Pellegrino insieme al marito Benedetto Lo Gattuto, all’amico Vito Amodeo, marinaio trapanese di 37 anni, e alla moglie di lui. La donna bevve dell’acqua limpida che gocciolava dalle pareti rocciose di una grotta ricoperta all’esterno da vegetazione e che si trovava accanto dell’antica chiesa di Santa Rosalia, e guarì miracolosamente. In quel momento si addormentò e sognò la Madonna vestita di bianco, con il Bambin Gesù in braccio e con al collo una collana di coralli che le indicava di scavare all’interno della grotta dove avrebbe trovato “una santa, un tesoro”. In fondo alla grotta vide una giovane vestita con una lunga tunica di arbraxo (stoffa di sacco vecchio) che, in ginocchio, pregava con la corona in mano.
Vide quindi una grande pietra, e con grande insistenza, nei primi giorni del mese di giugno fece iniziare gli scavi. Li condusse lei stessa, insieme al marito, ai contadini dei dintorni e ai monaci francescani del vicino convento. Nel frattempo il Senato, dopo la morte del viceré Emanuele Filiberto di Savoia avvenuta a causa della peste il 3 di agosto del 1624, vietò ai cittadini di lasciare le proprie dimore e soprattutto la città senza il proprio “bollettino”, rilasciato dal maestro notaio. Il 15 luglio del 1624, nel punto precedentemente indicato da Girolama La Gattuta, terminarono gli scavi e sotto a una grande lastra di marmo e calcarenite molto piatta, vennero ritrovate delle ossa umane bianchissime (inserite in concrezioni calcaree). (All’inizio degli scavi in grotta avevano trovato altre ossa di colore scuro, probabilmente appartenenti ad un frate secolare e ad un novizio, oltre a delle ossa di capra). Le ossa bianche, per via del loro candido colore e delle delicate dimensioni del cranio, vennero assolutamente definite ossa di donna, ed emanavano un fortissimo e gradevolissimo profumo di fiori; inoltre, secondo le testimonianze, scritte peraltro, fu sufficiente soltanto un uomo a sollevare la cassa con dentro le ossa poiché “erano leggerissime”. Le ossa vennero ripulite e portate nella cappella del Palazzo Arcivescovile, dove risiedeva il cardinale e arcivescovo di Palermo, Giannettino Doria, che dopo una vista delle ossa da parte dei Padri medici anatomici Gesuiti, guidati da Padre Giordano Cascini, che scrisse inoltre la prima biografia di santa Rosalia raccogliendo prove storiche e tradizioni orali tramandate nel tempo, che dicevano che le ossa erano di giovane donna, si convinse e decise di far portare in processione per le vie della città di Palermo le ossa, tramite il giovane Vincenzo Bonello. Ecco la storia.
Il 13 di febbraio del 1625 santa Rosalia apparve sul Monte Pellegrino ad un saponaio di nome Vincenzo Bonello (o Bonelli), che abitava nel mandamento Monte di Pietà, in via Pannaria, che voleva suicidarsi per via della morte per peste della giovane moglie quindicenne. La santa lo fermò dal suicidio e gli disse che solo se i propri resti fossero stati portati in processione e si fosse cantato il “Te Deum Laudamus“, la peste sarebbe terminata, così come le aveva detto e promesso la Madonna. Vincenzo chiamò il suo confessore (parroco della chiesa di Sant’Ippolito Martire al Capo), come gli aveva detto santa Rosalia, e gli raccontò tutto quello che aveva visto. Dopo tre giorni, Vincenzo si ammalò di peste e morì, poiché aveva già ricevuto il suo miracolo. Il vescovo, facendo ben esaminare le ossa a dei medici anatomini fu informato che erano “di donna” e quindi, di Rosalia, l’unica donna vissuta sul Montepellegrino. Il 9 giugno 1625 l’arcivescovo di Palermo, Giannettino Doria, seguito da tutto il clero, dal senato palermitano e da alcuni cittadini eminenti fece una solenne processione attraverso le strade della città con le reliquie della santa. Al passaggio dei sacri resti, all’intonazione del “Te Deum Laudamus” , si bloccò il contagio della peste (da quel momento non furono più registrati nuovi casi di peste) e le persone guarivano dal morbo. Inoltre santa Rosalia protegge la città di Palermo da terremoti, tempeste e temporali, da cui ha difeso la città stessa anche in tempi recenti.
Il rito nel passato
Nel 1625 le reliquie vennero poste all’interno di uno scrigno in argento e vetro, custodito all’interno del Palazzo Arcivescovile, e dallo stesso anno vennero portate in processione per ricordare il miracolo compiuto, inaugurando una tradizione che in più di tre secoli ha subito ben poche interruzioni.
La processione
La prima “piccola celebrazione del 1624” fu particolarmente breve: le reliquie vennero spostate per pochi metri, dal Palazzo Arcivescovile fino alla cattedrale.
Il percorso divenne sempre più lungo e complesso con i passare degli anni, fino a coinvolgere buona parte della città. Alla processione partecipano di diritto molte confraternite costituite nel corso dei secoli, la più antica e famosa è la Confraternita di Santa Rosalia dei Sacchi, costituita nel 1635 e formata da barbieri e calzolai (varberi e scarpari).
La confraternita, che prende il nome dall’abbigliamento usato durante la processione, ha il compito di trasportare l’effigie della santa che durante l’anno viene conservata nella chiesa di Casa Professa. Tutte le confraternite dovevano portare un mantello con l’effigie della santa e grossi ceri in processione. In occasione della festa, sin dal XVII secolo, il Cassaro veniva addobbato con fastose architetture temporanee. Nel 1674 la confraternita dell’Annunziata sotto il titolo di Santa Rosalia dei Muratori, ottenne dal Senato Palermitano, il privilegio del porto e riporto delle sacre reliquie di Santa Rosalia. privilegio mantenuto e curato nel corso dei secoli fino ad oggi.
Fonte testo: Wikipedia
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