Festa di Sant'Antonio Abate
Descrizione

Festa di Sant’Antonio Abate a Misterbianco

Bene inserito nel Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia (REIS)

 

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Scheda tecnica elaborata da: Regione Sicilia – Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – CRicd: Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione e filmoteca regionale siciliana

N. Prog. 98
Bene: Festa di Sant’Antonio Abate
Libro: REI – Libro delle celebrazioni
Data approvazione: 26-01-2007
Categoria: Festa patronale
Provincia: Catania
 
Comune: Misterbianco
 
Notizie Cronologiche
S. Antonio Abate nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all’anno 250. Fu un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico. Antonio fu un insigne padre del monachesimo orientale. Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente. Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un’antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce – soprattutto di porco – allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare. Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall’imperatore Massimiliano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l’eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell’impero.
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all’età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio “santo” del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell’uomo, sia degli animali. E’ stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco sacro”.
Ricorrenza: Triennale
Data: Prima domenica di Agosto
Occasione: Festeggiamenti del Santo Patrono
Funzione: Devozionale/Patronale
Attori: Le commissioni dei “cerei” e dei “partiti” rionali che girano per le vie del paese chiedendo contributi e coinvolgono tutti i cittadini di ogni ceto sociale.
Il paese è diviso in “partiti” o quartieri:
S.Nicolò, corrispondente al quartiere “Panzera” il quale prese questo nome da un altarino, dove è dipinta la Madonna del Pensiero;
S.Orsola, corrispondente al quartiere “Manganeddi”, dal nome dell’antico strumento col quale, in questo quartiere, si lavorava la seta. Nella zona sorse la chiesa di S. Orsola e un tempo esistette l’omonima Confraternita;
La Madre Chiesa o “dei Mastri”, corrispondente al quartiere che abbraccia il centro storico del paese; questo “partito” era detto anche “d’i chiazzoti”;
S.Angela Merici “Quarterie delle Terme”, costituito recentemente nel 1992 per affermare una identità di quartiere nella nuova zona nord-ovest e che abbraccia tutti gli abitanti della Parrocchia “S.Angela Merici”.
Altra caratteristica del culto esterno è la presenza dei quattro cerei: Carrettieri e Camionisti, Vigneri, Pastori e Maestri, che rappresentano, ancora oggi, le varie categorie o gruppi sociali.
Partecipanti: Devoti, clero, gruppi sociali, gruppo musicale
Descrizione
Con periodicità triennale Misterbianco festeggia il santo Patrono S. Antonio Abate, la prima domenica di Agosto. Il simulacro di S.Antonio Abate, (opera del ‘700) è custodito in una artistica “cammaredda” sul lato sinistro del transetto, nella Chiesa Madre. I preparativi hanno inizio subito dopo “l’annuncio”, dato dal parroco, alla fine della messa serale celebrata per la festa liturgica, il 17 gennaio. Attorno a queste cinque giornate si organizzano tutte le manifestazioni inerenti alla festa. In modo particolare la giornata del sabato è certamente la più rumorosa e caratteristica. Dà inizio ai festeggiamenti la solenne processione della Reliquia, che, partendo dalla chiesa di S.Nicolò, si conclude nella Chiesa Madre con il canto dei Vespri e la Benedizione.
Anticamente ogni quartiere dedicò al Santo un inno “‘a Cantata” e nei giorni della festa, durante il giro del simulacro, detti inni vengono eseguiti dai cittadini – accompagnati dal corpo musicale. Alla processione, aperta dai Cerei, partecipano le Confraternite, il clero, le religiose, le autorità civili e militari e gran numero di fedeli. Successivamente l’appuntamento è ai “Quattro Canti”; dove una moltitudine assiepata aspetta l’ingresso dei cerei, che frattanto si sono disposti lungo la via Matteotti, secondo il tradizionale ordine di entrata: Maestri, Pastori, Carrettieri-Camionisti e Vigneri. L’ingresso di ogni cereo è accompagnato dalla banda musicale che “sostiene’ i portatori nella “ballata” mentre assordanti e variopinti fuochi d’artificio riempiono l’aria di fantasmagorici colori e acre fumo a conferma dell’appellativo: “festa del fuoco”. Trascorse le “quattro ore di fuoco”, tutti i cerei, con lo stesso ordine con cui sono entrati, lasciano i “Quattro Canti” ed entrano nella vicina Chiesa Madre, da dove muoveranno, la domenica mattina, per aprire la Processione del Simulacro del Santo, che rimarrà l’esclusivo protagonista delle due ultime giornate di festa.
Nei cinque giorni di festa – da diversi secoli – fede e folklore si fondono insieme; preghiera, gioia, antagonismo, entusiasmo e commozione sono i denominatori comuni con i quali i misterbianchesi esprimono il loro affetto verso il Santo Patrono.
Come già accennato, altra caratteristica del culto esterno è la presenza dei quattro cerei: Carrettieri e Camionisti, Vigneri, Pastori e Maestri, che rappresentano, ancora oggi, le varie categorie o gruppi sociali. Tali cerei, nei giorni delle celebrazioni patronali, girano per le vie del paese annunciando la festa. La loro origine deriva dall’offerta della cera al Santo, e giacché si faceva a gara per portare il cero più grosso, dovettero ricorrere all’uso di piccole e rudimentali bare per poterli trasportare, da ciò ebbe origine il termine “Varetta”. In seguito, sempre in omaggio al santo, le varette vennero abbellite ed ornate con fregi e festoni, che trasformarono la rudimentale bara in un elegante candelabro alto circa cinque metri, da ciò il termine “Candelora”. Le quattro candelore, costruite in legno dorato, artisticamente lavorato, presentano ricchi ornamenti, puttini, festoni, statue di santi e pannelli raffiguranti la vita di S.Antonio Abate. La più piccola ed aggraziata è la candelora dei Carrettieri e dei Camionisti, ch’è la più antica (1865), mentre la più pesante, si dice, sia quella dei Pastori (1909), con pitture che si rifanno ad episodi della vita dei santo. Il ceto dei pastori, nel nostro paese, va scomparendo ma gode buona stima da parte di tutti i cittadini. Le altre due candelore, di eccezionale fattura ed eleganza, sono quella dei Vigneri (1875), cha ha l’esatta forma di un candelabro, l’unica ad avere il grosso cero nell’interno e, infine, quella dei Maestri, costruita nel 1910, in stile Liberty. La festa di S. Antonio Abate, come tutte le feste patronali, è contornata da manifestazioni di devozione e di fede che escono dai canoni abituali, e che trovano il consenso di tutti e la partecipazione spontanea della popolazione. E il caso della salita di via S. Nicolò “d’acchianata di Santanicola”, momento trainante della festa in cui giovani e meno giovani si sobbarcano il peso del maestoso ed imponente fercolo del Santo sulle spalle e lo portano, tra una folla plaudente ed un caldo soffocante, fin dentro la chiesa. E’ questo un momento della festa, assieme all’uscita pomeridiana attraverso il quartiere “Manganeddi”, atteso da tutti. Anche chi è solo spettatore, si sente partecipe, dividendo fatica, sudore, sacrificio, gioia e devozione. Tutto è rimasto immutato con il passare degli anni ed ogni cosa si ripete secondo un copione che nessuno ha mai scritto. Certamente le cose sono un pò cambiate; ed oggi non si assiste più alla trascinata del fercolo, che prima del 1963 era senza ruote e veniva portato a spalla dai devoti o tirato con cordoni. Il bello o il peggio, a quell’epoca, arrivava quando il Fercolo giunto alla fine di via S.Giuseppe doveva essere tirato su per l’allora “atroce” via Plebiscito. Su quel tratto di strada in salita che arriva fino alla Chiesa di S.Orsola, molti sono gli aneddoti che si raccontano; come quello che coinvolgeva in prima fila “a zza Filici ‘a tronu” che, quale unica rappresentante femminile, si sottoponeva con sacrificio ad uno sforzo poco adatto alle donne, in devozione a S.Antonio Abate.
La sostituzione delle lunette con le ruote e la sistemazione progressiva di tutte le strade ha risparmiato non poche fatiche a tutti i devoti, ma la tradizione “d’ampunuta” (l’innalzamento) della vara è rimasta e si è allargata, tanto che nelle ultime edizioni della festa di Agosto anche in piazza della Repubblica, il centro storico del paese, ed in via Bruno Buozzi, la parte nuova e moderna, si assiste all’adunata dei giovani che si uniscono tutti senza distinzione di classi, di ceto, di credo politico per innalzare e portare a spalla la grande vara come segno di fede e devozione dei Misterbianchesi verso S.Antonio Abate. E’ questa, assieme alle molte altre, la prova che è ancora vivo anche nei giovani quell’attaccamento al Santo trasmesso da padre in figlio e che, come recita uno degli inni al Patrono, “infonde al popolo Fede ed Amor”.
 
Bibliografia
Longo, Pippo. 1982. Festeggia popolo!: raccolta di notizie su Misterbianco e la festa del patrono, Misterbianco: Tip. Lombardo e Licciardello.
 
Scuderi, Santina. 2001. La festa di s. Antonio Abate a Misterbianco : storia, devozione, folclore, Catania: G. Maimone.
 
 
Note
Agli inizi di dicembre del 1615 il cappellano della chiesa di S. Nicola, Don Domenico Fisichella, con i rettori Luca Santagati, Muni Puleo e Domenico Santonocito, scrivono al Vicario Generale Antonino Perremuto ed al Vescovo Bonaventura Secusio per chiedere l’autorizzazione di poter esporre alcune reliquie avute da Roma, tra le quali quella di S. Antonio Abate. A quel tempo si trovava a Roma il Dottor don Giacomo Romano, canonico della collegiata e “beneficiale” del casale di Misterbianco, il quale si interessò presso Monsignor Fabrizio Caracciolo, vescovo di Tropea, per avere alcune reliquie.
Queste furono mandate a Misterbianco tramite padre Desiderio La Placa, provinciale e commissario generale dei Carmelitani della provincia di S. Alberto, come si attesta “per fede” dallo stesso.Il vicario generale, controllata la documentazione, autorizza l’esposizione e la processione con baldacchino in “quillo tempo che l’esponenti vorranno, et farli festa incomensando dalli primi vesperi insino alli secundi… Catania 16-12-1615”. La reliquia di S.Antonio era sistemata in un braccio d’argento, insieme a quella di S.Nicola. Dopo l’eruzione del 1669 i Misterbianchesi, discordi sul punto dove ricostruire il paese, si sparpagliarono in vari gruppi, dividendosi i suppellettili e gli oggetti sacri delle chiese. La reliquia di S.Antonio Abate rimase nel nuovo paese, ma senza il reliquiario, cioè senza il braccio d’argento. Questo venne costruito nel 1720; ciò si deduce da una incisione posta sotto la mano del reliquiario; doveva portare incise anche le iniziali del cesellatore, del console che reggeva quell’anno il consolato, nonchè il marchio di garanzia, ma di tutto ciò non si nota nulla, forse a causa dei vari ritocchi e riparazioni eseguiti nell’anno 1830, ad opera dell’argentiere Auteri e successivamente nel 1895, per interessamento di Pietro Santonocito Arena fu Nunzio. Da allora non sono state apportate altre modifiche. Oggi si può ammirare e venerare la santa reliquia il 17 gennaio e in agosto, in occasione della “Festa Grande”.
Autore Scheda: Salvatore Gambacurta
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